«La legge condanna
a morte mio figlio»
Lotta per il trapianto

Molteno. Rimasto cerebroleso dopo un intervento un ragazzo di 24 anni ha bisogno di un rene. Ma come disabile non può sperare di riceverlo

Giuseppe Nocella, 24 anni, finché ne aveva 8 viveva nella città calabrese di Paola, suonava il sassofono e portava a casa pagelle bellissime; nel 2001 un’infezione da streptococco gli ha preso il cuore: la plastica alla valvola aortica, andata storta – eseguita all’ospedale civico di Palermo – ha reso necessario il trapianto cardiaco e lo ha lasciato cerebroleso.

Da qui il trasferimento nel Lecchese, per entrare in un programma dell’istituto pediatrico “La nostra famiglia”, di Bosisio Parini (ora è seguito invece dal centro per disabili “La rosa”, di Nibionno).

I farmaci antirigetto per il cuore hanno tuttavia intanto logorato i reni del giovane, fino a condurlo alla soglia della dialisi «che Beppe, però, per le sue condizioni mentali – sottolinea la mamma, Natalina Di Blasi – non può sopportare: non sa stare fermo e non può certo essere anestetizzato ogni due giorni».

La famiglia Nocella non cerca aiuti economici, ma chiede che «la Sanità si metta una mano sulla coscienza, soprattutto dopo quello che abbiamo subìto»: sul figlio - nato «sanissimo e uscito irriconoscibile dalla sala operatoria di Palermo» - dopo 15 anni di calvario incombe una condanna che pare inappellabile. Tutte le Regioni d’Italia prevedono infatti, come criterio di esclusione per il trapianto, la malattia psichiatrica grave.

«È atroce: ci viene da dire che in Italia la spesa sanitaria è altissima per garantire l’accanimento terapeutico; invece – si dispera mamma Natalina - non si può impedire la morte di un giovane che pensa, comunica e dà così tanto a chi lo ama; il criterio – ribadisce la madre – è che la qualità di vita di un disabile psichico non ha le stesse prospettive di miglioramento di un trapiantato normodotato ed è inferiore il suo contributo alla società».

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