Anziani ancora soli nelle case di riposo
L’appello dei parenti: «Basta, riapritele»

La rabbia di chi non vede i propri cari da un anno: «Ce lo impediscono anche se siamo tutti vaccinati» - La salute mentale peggiora, intervenga il governo»

Le Rsa sono ancora chiuse e tra i familiari inizia a montare la rabbia.

Sempre più lettori con i parenti chiusi da un anno nelle case di riposo lamentano l’impossibilità di salutare i loro cari non dal balcone, non da una porta a vetri, ma almeno da un metro. Non tanto per abbracciarli, quanto per farsi sentire e capire bene. Succede alle Giuseppine, alle Marcelline, alla Ca d’Industria, le segnalazioni riguardano la sede di Rebbio come quella di via Brambilla.

«Molti familiari si dicono ormai disperati – racconta Laura Aspromonte, vice presidente di Felìcita, associazione nata in Lombardia che si batte per i diritti nelle Rsa – non riusciamo a vedere i nostri cari, a parlarci, a salutarli. Ci sono persone vaccinate a cui è impedito l’incontro con i loro anziani genitori a loro volta già vaccinati. Gli ospiti vivono una sorta di reclusione con un peggioramento delle condizioni legate soprattutto alla salute mentale. Come associazione stiamo cercando di dare voce ai tanti parenti facendo pressione in particolare sui prefetti. Perché il governo firmi una norma. Altrimenti la responsabilità viene scaricata sulla Regione, che a sua volte rimanda alle Ats, per finire poi alle direzioni sanitarie delle singole strutture che però temono conseguenze legali e penali».

Così nessuno ha il coraggio di aprire le porte. Salvo rare eccezioni, qualche direzione sanitaria ha provato ad organizzare appuntamenti in presenza previo tampone negativo, così ha deciso da maggio anche il Trentino.

Ad alcune Rsa sono state donate le stanze degli abbracci, ma si tratta comunque un abbraccio di plastica. L’intera Italia sta riaprendo, ma gli anziani delle Rsa e le loro famiglie si sentono dimenticati.

All’Auser di Como arrivano testimonianze di delusione e rabbia. «Ci stiamo muovendo anche noi – dice Marinella Magnoni, segretaria dello Spi della Cgil, il sindacato dei pensionati – portando il tema sui tavoli regionali. È un diritto, un bisogno di salute, troviamo insieme la strada migliore. Il rischio zero certo non ci sarà mai, ma se entrambe le persone, figli e genitori, sono vaccinate non è possibile fare altro. Non possiamo aspettare in eterno che la pandemia si dissolva. Ci vorranno ancora mesi prima di vedere il Covid sparire o prima di arrivare all’immunità di gregge».

Il 12 gennaio nelle Rsa comasche c’erano 315 ospiti positivi, il 23 marzo 30 di cui 28 asintomatici. Adesso siamo quasi a zero.

«Dobbiamo tornare a vivere i nostri affetti – commenta Salvatore Monteduro, segretario della Uil del Lario – gli ultimi dati sui contagi nelle Rsa sono vicine allo zero. Ci sono i presupposti per ritrovare una quasi normalità. Almeno per gli incontri tra soggetti già vaccinati si studino percorsi garantiti».

Il “green pass”, un patentino vaccinale, è stato istituto per decreto legge, ma nessun centro vaccinale o medico ancora lo rilascia. Potrebbe essere, secondo la Regione Lombardia, uno strumento utile a riprendere gli incontri in sicurezza. Di contro i virologi mettono in allarme sulle possibili varianti capaci di resistere al vaccino. Ed è per questo che la posizione della Cisl dei Laghi, con il suo segretario Daniele Magon, è più prudente. «Meglio aspettare l’estate, la circolazione del virus a Como e Varese è ancora diffusa, anche per i vaccinati esiste un rischio».

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