Coronavirus, le imprese
Como: «Con questi politici
andiamo a picco»

La rabbia del mondo del lavoro per la psicosi: «Paghiamo gravi conseguenze per il loro allarmismo»

Adesso la politica stia zitta. Ha già creato troppi guai alla reputazione del Paese con l’allarmismo sul Coronavirus e danneggiato le aziende, dove sfumano ordini e incontri di affari. Si stanno insomma subendo le conseguenze non del virus, bensì di una comunicazione sconcertante, che appare più una campagna elettorale. Gli imprenditori alzano la voce contro ogni livello di Governo. Ogni parola o gesto che possano acuire la sensazione di emergenza (ha fatto molto discutere l’immagine del governatore Attilio Fontana con la mascherina) sono in grado solo di creare danni.

La protesta

Infuriato è Maurizio Traglio. Persino nei gioielli di alta gamma, come quelli della sua azienda Vhernier, si avverte la scia di reazioni dal mondo: «Si doveva essere oggettivi e guardare oltre. I politici devono rendersi conto delle conseguenze delle loro azioni. Ieri sera (mercoledì, ndr) mi sono trovato con diversi imprenditori e ci siamo confrontati sulla incapacità di trasferire la verità, sia da parte del Governo centrale sia da quello locale». E Traglio prosegue: «Basta allarmismi, non c’è pandemia. Questa storia è vissuta dalla popolazione come il colera e questa è responsabilità della comunicazione della politica. Noi stiamo pagando non l’emergenza virus, ma le conseguenze di questo atteggiamento».

Traglio racconta di telefonate incredibili dall’estero: «Mi chiamano gli amici per esprimere il loro cordoglio. Come se avessimo le bare per le strade! Qui si deve rimettere in moto la credibilità dell’Italia, siamo considerati il terzo Paese untore». Allora subito una controcampagna di informazione per dire ciò che accade veramente: «Siamo la seconda regione d’Europa per Pil, bisogna comunicare con tatto e criterio i numeri reali».

Lo sconcerto di Traglio è condiviso da altri imprenditori. Il comasco Pierluigi Testa guida la Castello Italia di Casalmorano, in provincia di Cremona: un’azienda con un centinaio di collaboratori e 30 milioni di fatturato, di cui il 90% legato all’estero. Lavora con l’automotive e stava andando bene: «Dall’ultimo weekend - racconta - ho avuto l’annullamento di tutti i clienti che non vogliono più vederci. Io devo gestire la situazione sanitaria, seguendo pedissequamente ciò che ci è stato indicato… Ma intanto dall’India mi hanno detto: “Non è che vuoi spedirci le merci, perché tra due settimane chiudi?”».

Anche per Testa la causa non è l’emergenza virus: «No, è la campagna elettorale che stanno facendo sulla nostra pelle. La facciano in un altro momento». Da Roma a Milano, la sensazione è proprio che gli obiettivi siano diversi da quelli che la gente chiede e ha il diritto di esigere: contenere il fenomeno e tornare alla normalità.

Parlino solo gli esperti

Chi deve parlare, sono gli esperti che infatti stanno dando spiegazioni tranquillizzanti. Ma la politica taccia: «Fontana ora venga da me in fabbrica con la mascherina a raccontare agli operai cosa dovrebbero fare. Noi siamo in zona gialla. Lo aspettiamo volentieri a sentirlo dare soluzioni. Chi paga questi danni? E pensare che io lunedì aspetto anche tre persone da assumere».

I piccoli imprenditori non sono meno sconcertati. Roberto Galli, presidente di Confartigianato Como, sospira: «Non riesco a capire, prima dicono che è poco più di un’influenza e poi bloccano l’Italia. Devono fare poca propaganda e rimettere in sesto un Paese che stanno rovinando con un atteggiamento sconvolgente». Altrimenti i danni cresceranno: «Il mio settore, quello dei trasporti, ha già i suoi problemi. Oggi un mio autista è rimasto bloccato mentre scaricava in un’azienda torinese, perché un loro dipendente aveva la febbre. Tutti fermi, finché il tampone ha stabilito che era negativo. Risultato, mezza giornata di lavoro persa».

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