Coronvirus a Como
«Occhio ai numeri
La mortalità è più bassa»

Paolo Grossi, o rdinario di malattie infettive all’Università dell’Insubria: «Quello che osserviamo adesso, giorno per giorno, è l’evidenza di qualcosa che è accaduto verosimilmente due o tre settimane fa»

Dopo un aumento del numero dei pazienti guariti e qualche luce di speranza intravista venerdì, il numero dei comaschi vittime del coronavirus è salito, sabato, di 12 unità, a fronte di 87 nuovi contagi, per un aumento del 10% in 24 ore che ha fatto segnare un nuovo, drammatico, record.

In totale, dall’inizio dell’emergenza, in città si sono contati 23 morti , 113 in provincia, con 903 positivi, questo nonostante che il nostro il territorio della provincia di Como, al pari di quelli delle province di Varese e Sondrio (meno Lecco), sia da ritenersi ancora relativamente “fortunato” rispetto a quelli di altri centri, Bergamo in primis.

Professor Paolo Grossi, ordinario di malattie infettive dell’Insubria impegnato all’ospedale di Varese, come dobbiamo leggere questi numeri?

Cominciamo col dire che le nostre province, al di là dei numeri, sono solo relativamente “poco colpite” dal virus. Ormai i nostri ospedali di riferimento, quello di Circolo a Varese e il Sant’Anna a Como, sono stati quasi del tutto riconvertiti alla cura del coronavirus. I pazienti affetti da altre patologie vengono inviati altrove. Questo per dire che il problema è presente in misura significativa e anche dolorosa. Ci sono certo altre città non lontane, da Bergamo a Milano, che hanno difficoltà ancora maggiori almeno in numeri assoluti.

Perché dopo un lieve andamento incoraggiante la curva qui è di nuovo peggiorata?

Vede, quello che osserviamo adesso, giorno per giorno, è l’evidenza di qualcosa che è accaduto verosimilmente due o tre settimane fa. L’aumento o il calo non sono mai immediati. È l’espressione di infezioni non nuove. Noi in ospedale testiamo tutti i sintomatici. Di recente è lecito pensare che anche le persone che sono rimaste a casa siano emerse. Una quota di cittadini al proprio domicilio ha riscontrato un peggioramento delle condizioni di salute e ha chiesto l’ospedalizzazione. Purtroppo una percentuale di positivi ancora non nota evolve verso quadri più severi.

Quindi a casa c’è un grande numero sommerso di ammalati?

Il vero problema che poi rimbalza in corsia è nelle comunità, in quei gruppi di persone che nei giorni scorsi nonostante le restrizioni hanno continuato ad andare in giro, contribuendo a diffondere il contagio. Quei cittadini e i loro relativi contatti possono alimentare la malattia a casa, salvo poi chiedere il ricovero. Mi conforta però vedere adesso il deserto nelle strade. O almeno, è una situazione surreale e molto triste. Non c’è più nessuno. Confido che le persone finalmente responsabili abbiano fermato la circolazione e che dunque a breve riusciremo a rallentare la curva dei contagi, dei ricoveri e dei decessi.

Quanto a breve?

Non lo so, oggi, domani, non saprei dire. È impossibile fornire una previsione puntuale. Questa storia ci terrà compagnia ancora un bel po’. Spero però che tra qualche settimana i numeri diminuiranno e tutto potrà diventare più gestibile. Per avere soprattutto meno accessi negli ospedali e riuscire così a garantire una cura e una risposta a tutti coloro che stanno molto male.

La situazione in Lombardia preoccupa?

Contestualizziamo. I contagi conosciuti sono il numero dei tamponi che eseguiamo. Se ci mettiamo a fare il tampone a tutti, anche a chi è a casa, anche a chi non ha sintomi, è ovvio che rileviamo un bacino di persone largamente maggiore.

Cioè si arriva all’esplosione?

Sì, ma vede, questo significa anche che il tasso di mortalità è molto, ma molto più basso. Se la popolazione che ha contratto il virus viene estesa enormemente significa che le persone che sfortunatamente non ce la fanno sono in percentuale molto poche. Vuol dire che la stragrande maggioranza guarisce. Senza conoscere l’esatta platea dei positivi rischiamo di fornire cifre che non rispecchiano la realtà e che possono far paura.

C’è una specificità lombarda, comasca o varesina?

No, non c’è ragione di pensare che il virus si comporti diversamente qui rispetto che altrove. In Cina o in America. Non credo ci sia un caso Lombardia. Vero è che qui il contagio è iniziato prima, dunque il fenomeno era meno conosciuto, meno atteso, era un dramma meno prevedibile. C’è chi dà colpa alla partita di calcio dell’Atalanta, un fatto che nella Bergamasca può avere amplificato il contagio, ma che non l’ha certo creato. C’è poi da dire che in val Seriana, ad esempio, la concentrazione delle industrie è parecchio elevata, è sufficiente che sia passato un cinese o un tedesco positivo e senza sintomi. Questo è un virus che si diffonde in maniera molto efficiente. È rapido. Dunque il caso gioca un ruolo cruciale.

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