Javier contagiato alla fine dell’epidemia
«È stato il nostro ultimo paziente Covid»

Il primario e lo staff della Terapia intensiva ricordano il collega scomparso a 59 anni - «La cosa più difficile da accettare è che si sia ammalato quando ormai l’emergenza era alla fine»

Non c’è solo dolore fra i colleghi di Javier Chunga, 59 anni, l’infermiere della Terapia intensiva del Valduce morto di Covid-19 venerdì al San Gerardo di Monza. C’è anche la rabbia perché Javier si è ammalato quando ormai l’emergenza era al declino: di più, spiega Marco Galletti, primario del reparto, «Javier è stato forse l’ultimo paziente Covid che abbiamo curato, di certo l’ultimo che abbiamo dovuto intubare».

Uno sgarro del destino difficile da accettare per chi ha curato pazienti Covid per due mesi con ritmi infernali, rischiando la vita ogni giorno, e ha visto un compagno - e un amico - cadere un attimo prima del cessate il fuoco.

«Con alcuni colleghi lavoriamo da anni, se non da decenni - dice il primario - e, anche senza voler ricorrere all’immagine abusata della famiglia, è innegabile che fra di noi ci sia un legame molto forte. C’è un rapporto diverso da quello che nasce nei reparti dei grandi ospedali, si sa tutto di tutti, e ci si dà una mano... Questo rende particolarmente duro da accettare quello che è successo».

Javier era stato trasferito a Monza dopo 20 giorni di terapia intensiva nel “suo” reparto: «Quando abbiamo visto che la situazione non migliorava abbiamo deciso di trasferirlo perché a Monza c’è la terapia extracorporea. La speranza era che lasciando i polmoni a riposo e con un trattamento farmacologico con dosi massive Javier riuscisse a superare la fase critica. Ma non è stato così. I colleghi di Monza sono stati molto bravi, professionalmente e umanamente, ci hanno dato una mano anche dal punto di vista psicologico: ma noi sapevamo che la situazione era gravissima, che la battaglia era persa. Noi che siamo dell’ambiente eravamo perfettamente al corrente di tutto quello che in questi tre mesi il fisico di Javer ha dovuto sopportare, avevamo iniziato non dico a farcene una ragione, perché una ragione non ce la si fa mai, ma a capire quale sarebbe stato l’unico esito possibile...».

«La cosa che davvero ci ha toccato e che continua a farci male - continua il dotto Galletti - è che oramai eravamo in fase di regressione dell’epidemia, dopo due mesi terribili, e il nostro collega è stato l’ultimo paziente che abbiamo intubato».

Javier sapeva, forte di decenni d’esperienza sul campo, che la situazione era preoccupante: «Certo, la sua formazione gli consentiva di decifrare tutti i segnali. Ma lo abbiamo tranquillizzato, come facciamo con tutti i pazienti. Da quel momento è stato sottoposto a sedazione continua, anzi e una vera e propria anestesia, e non ha più avuto coscienza di quello che stava accadendo. Almeno questo, dal punto di vista umano, è di conforto a noi e ai suoi familiari».

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