«L’avvocato si finanziava
a spese della collettività»

Le motivazioni della condanna per evasione di Alberto Pascali

Una vera e propria «pulsione agli acquisti». Una «patologia» secondo la tesi difensiva. Non secondo il giudice. Che ha condannato l’avvocato Alberto Pascali per il reato di evasione fiscale, commesso in quanto il legale comasco - sottolinea la sentenza contro di lui - ha «scelto di finanziarsi a spese della collettività».

Il magistrato che, l’altroieri mattina, ha condannato Pascali a due anni e mezzo di reclusione per aver nascosto al fisco quasi mezzo milione di euro, finendo per evadere oltre 170mila euro di Irpef e quasi 120mila euro d’Iva nella dichiarazione dei redditi riferita al 2011, ha già scritto e pubblicato le motivazioni della sentenza di condanna. Che tratteggiano un quadro del professionista, peraltro già condannato in via definitiva anche per peculato, per aver rubato i soldi a un invalido al 100% di cui lui era amministratore di sostegno, non particolarmente felice.

Shopping compulsivo

L’intero dibattimento sulla maxi evasione fiscale contestata a Pascali (che, oltre a essere avvocato, è conosciuto anche per la sua attività e la sua passione per la motonautica) si è incentrato soprattutto sull’effettiva consapevolezza del professionista comasco di commettere un reato. Sulla base di consulenze psicologiche, che il giudice ha ritenuto però ininfluenti per dimostrare l’effettiva presenza di una patologia capace di avere un ruolo sulla capacità di volere dell’imputato, è emerso che Pascali per anni avrebbe sofferto di una sorta di sindrome da shopping compulsivo. O, per dirla con gli esperti, di «disturbo del controllo degli impulsi». In buona sostanza, l’avvocato comasco in una certa fase della propria vita avrebbe speso molto più di quanto avrebbe potuto permettersi spingendolo a trovare soluzione illecite per far fronte a questo bisogno di denaro.

La sentenza

Secondo il giudice, però, non siamo di fronte a «un quadro psicopatologico» quanto piuttosto di «corollari di comportamento dell’imputato». Nella sentenza il magistrato sottolinea come l’avvocato fosse «pienamente consapevole della necessità di procurarsi risorse finanziarie per soddisfare la pulsione gli acquisti» così come chiara sarebbe la «volontà di provvedervi a spese dell’erario». Scrive il giudice: «L’imputato ha scelto i finanziarsi a spese della collettività, esattamente come nella vicenda» che ha portato alla sua condanna per peculato «aveva scelto di finanziarsi a spese del pupillo».

Da qui la condanna che, però, in caso di appello potrebbe anche finire per veleggiare verso un’archiviazione.

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