L’esperto: «Massima pressione epidemica, è il momento più delicato»

Guido Bertolini epidemiologo e componente del Cts lombardo: «Con l’arrivo del picco non si è fuori dal pericolo, la discesa solo a marzo»

«Siamo molto vicini al picco della curva epidemica, dovremmo arrivare in vetta e al plateau entro una settimana e poi la curva inizierà a scendere. Ma ciò non deve tradursi nel concetto che siamo fuori dai pericoli. Quando siamo sul picco vuol dire che è il momento di massima pressione epidemica, quello più delicato in assoluto, e quando inizierà la discesa dal punto più alto si registreranno ancora tanti casi nella parte alta della curva. Dobbiamo mantenere per un po’ tutte le attenzioni possibili».

L’epidemiologo Guido Bertolini, responsabile del Laboratorio di Epidemiologia Clinica dell’Istituto Mario Negri e componente del Comitato tecnico-scientifico lombardo, conferma l’assunto registrato in questi giorni in Lombardia: la crescita della curva epidemica non è più esponenziale e i progressivi, seppur contenuti, segnali di rallentamento della crescita dovrebbero preludere al raggiungimento dell’apice della fase espansiva in pochi giorni. Giovedì si è riscontrata la prima crescita negativa dei contagi su base settimanale (-3,4%) e non accadeva da ottobre 2021.

S’ intravede quindi qualche spiraglio di luce?

«Secondo me siamo un po’ più vicini al picco di quanto indicato dai dati ufficiali, che non sempre corrispondono esattamente alla realtà. Mi spiego: per costruire l’Rt (indice di replicazione del virus) e tratteggiare la curva epidemica con il bilancio dei nuovi casi accertati e dei soggetti guariti servono dati precisi, ma in questo momento il computo dei pazienti guariti è un po’ falsato dal fatto che i tamponi per l’uscita dalla malattia non si riescono a fare con la tempestività di prima, visti i numeri imponenti dei test da processare in questi giorni, e quindi risulta che la malattia duri più di quanto in effetti si manifesti. Il fattore climatico in primavera potrà contribuire ulteriormente alla riduzione dei casi, ma il trend in discesa lo vedremo prima di arrivare a marzo. Con una patologia che dura poco, anche la discesa dovrebbe essere piuttosto rapida».

La pressione ospedaliera si attenuerà con la discesa dei casi, quantomeno nei reparti ordinari?

«Al momento la pressione ospedaliera è ancora alta, vista la curva epidemica. Pressione aggravata dal fatto che bisogna tenere due percorsi separati tra pazienti Covid e non Covid e ciò riduce l’efficienza con cui si possono utilizzare i posti letto. Bisogna cercare di utilizzare l’ospedale nel modo più appropriato possibile, solo se c’è davvero una ragione di urgenza. La psicosi del Covid è giustificata, soprattutto in Bergamasca per quello che abbiamo passato all’inizio, ma oggi la malattia è diversa da quella conosciuta nel 2020 e nel 2021».

Quali sono i motivi?

«L’avvento di Omicron, variante prevalente, ha fatto cambiare forma e aspetto alla malattia, decisamente più lieve sui vaccinati e con i non vaccinati più esposti. L’80% circa delle Terapie intensive è popolato da soggetti non vaccinati. A livello lombardo l’Omicron è prevalente, seppur con differenze nelle province. L’Omicron ha ormai completamente soppiantato la Delta, anche se ancora vediamo qualche piccolo focolaio di altre varianti. Ad esempio dieci giorni fa è stato rilevato un cluster di variante Alfa (il ceppo arrivato subito dopo quello di Wuhan) in provincia di Sondrio».

La campagna di vaccinazione è a buon punto con oltre 100mila somministrazioni al giorno?

«La Lombardia è tra le regioni più virtuose, ma si può sempre migliorare. Quanto alla terza dose, i dati sono incontrovertibili: protegge ulteriormente dai casi gravi, mentre per l’infezione la variante Omicron è più capace di bucare le primissime difese, riuscendo a infettare anche una parte dei vaccinati e chi ha già avuto il Covid, tuttavia questi pazienti non sviluppano la malattia grave».

Ritiene opportuno differenziare il conteggio tra i pazienti ricoverati per Covid e gli ospedalizzati per altre patologie riscontrati positiv i?

«Sarebbe una scelta ragionevole, proprio perché siamo di fronte a una patologia diversa da quella conosciuta all’inizio. Bisogna cambiare approccio e adattarsi alle variazioni, perché queste scelte hanno conseguenze sulla vita sociale di tutti. Ogni ritardo comporta dei costi».

L a riapertura delle scuole provocherà una nuova crescita della curva?

«Non mi aspetto stravolgimenti perché i ragazzi in ogni caso si frequentano anche all’esterno e la scuola è un luogo dove c’è un controllo serio. La chiusura delle scuole non incide sul quadro epidemiologico. Riaprire è stata una scelta giusta, anche se bisogna mettere in conto che qualche classe inevitabilmente finirà in Dad».

Quando riusciremo a liberarci dal Covid?

«Ormai siamo dinanzi a un’endemia con una gravità più contenuta nel tempo, ma dovremo conviverci per qualche anno».

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