L’omicida di don Roberto
«Volevo uccidere i miei avvocati»

Il giorno prima del delitto ha dato la caccia ai suoi legali. «Se li avessi trovati avrei ammazzato anche loro». Il coltello comprato a luglio

Aveva deciso che qualcuno doveva morire. Così prima ha cercato di prendere di mira i suoi avvocati. Quindi, non avendoli trovati da nessuna parte, pur avendo trascorso il lunedì in zona Tribunale ad attenderli al varco, il giorno dopo ha deciso di prendersela con don Roberto.

Ridha Mahmoudi, di fronte ai detective della squadra mobile di Como che martedì lo hanno interrogato, non ha neppure fatto finta di tentare di difendersi. Tutt’altro: ha rivendicato con orgoglio l’assassinio di don Malgesini e ha raccontato, con rammarico, del mancato agguato ai suoi difensori, pure loro accusati di far parte di un fantomatico complotto ordito ai suoi danni per farlo tornare in Tunisia.

Il progetto di sangue il nordafricano di 51 anni in cella dall’altroieri per omicidio premeditato, lo aveva messo in conto fin dallo scorso mese di luglio.

L’acquisto del coltello

Due mesi fa l’uomo decide di comprare un coltellaccio da cucina. Va al Bennet di Tavernola e sceglie l’arma che, da quel momento, porterà sempre con sè: «L’ho pagata 19 euro» racconta in Questura, dove dà sfoggio di una memoria prodigiosa. Mahmoudi ricorda date, fatti, circostanze, nomi con una precisione inquietante. Freddo, analitico, calcolatore, non si direbbe proprio pazzo. Non fosse per quel movente folle (il complotto ordito ai suoi danni) per il quale ha tolto la vita al prete più amato dai senzatetto e dai poveri della città.

Tornando al coltello comprato a luglio, spiega: «L’ho preso per difendermi» da alcuni personaggio che, a suo dire, lo seguivano. «Brutti personaggi» precisa agli investigatori. Ma non solo. «L’ho preso anche per uccidere le persone che mi hanno fatto del male». Chi? Il sacerdote che lo aiutava da anni, il prefetto, il giudice di pace, l’oculista che ha periziato la non incompatibilità della sua malattia con l’espulsione dall’Italia e i legali che lo assistevano nei ricorsi davanti al giudice di pace: gli avvocati, nonché fratelli, Carlo e Vittorio Rusconi.

Lunedì Mahmoudi passa la giornata a gironzolare attorno al Tribunale di Como «per rintracciare e uccidere gli avvocati Rusconi» dice quasi con orgoglio. E, visto quello che ha fatto il giorno successivo in piazza San Rocco, con l’aggressione a sangue freddo a don Roberto, c’è da credergli quando assicura che, se lunedì avesse incontrato i due professionisti, non avrebbe esitato a ucciderli.

Per lui quei decreti di epulsione erano diventati una vera e propria ossessione. Era letteralmente terrorizzato dalla possibilità di poter essere portato in un centro d’identificazione per essere successivamente rimpatriato in Tunisia, dopo aver trascorso più di metà della sua vita in Italia.

La paura di essere espulso

Quel timore, nella sua visione distorta della realtà, avrebbe dovuto tradursi in un fatto concreto proprio nella giornata di martedì, quando doveva presentarsi davanti al giudice di pace per un procedimento penale aperto per non aver ottemperato all’ordine di lasciare l’Italia da parte del questore. Lo dice chiaramente, agli inquirenti: «Avevo paura che mi avrebbero preso in udienza e portato via».

Per questo, dopo non aver trovato gli avvocati, martedì mattina ha deciso di colpire il prete. Per fare un gesto eclatante. E atto clamoroso. Qualcosa che scongiurasse l’espulsione da un lato e che facesse sentire in colpa le istituzioni dall’altro.

Proprio per questo quando, dieci minuti dopo aver strappato con la lama la vita a don Roberto, si è presentato al comando provinciale dei carabinieri, Ridha al militare che si trovava sulla scalinata di accesso ha mostrato la mano e i vestiti imbrattati di sangue e ha detto: «Avete visto cos’avete combinato? Ora andata a sistemare il casino in piazza San Rocco».

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