«Mia nonna ha il virus
Nessuno ci fa il tampone»

Anziana positiva al Covid dopo l’uscita da una casa di cura «Resto accanto a lei fino alla fine. Ora anche mio padre si è ammalato»

Lo sussurra con la voce stanca, ma serena, di una nipote che non ne vuole sapere di allontanarsi dal capezzale della nonna che ama: «All’improvviso sembra di essere precipitati in un altro secolo, a combattere una guerra sconosciuta senza pallottole e a mani nude». Una guerra che lei, Lia Orlandi, è costretta ad affrontare da sola, nella casa di sua nonna, Luciana Cantaluppi, di Como. Di fronte alla febbre, alla tosse, alla fatica a respirare nessuno è intervenuto a fare un tampone. E così anche il papà di Lia si è ammalato ed è stato ricoverato con un focolaio di polmonite da coronavirus.

Contagiata in casa di cura

«Mia nonna ha compiuto 94 anni il 4 marzo. Era in una casa di cura, in seguito a una frattura del femore. Doveva essere dimessa il giorno prima del suo compleanno, ma i medici avevano posticipato di qualche giorno l’uscita perché aveva avuto un po’ di bronchite curata con antibiotico. Nel frattempo iniziava l’allarme per il coronavirus e dalla casa di cura avevano deciso di tenerla fino al 2 aprile: “da noi qui è più sicura” mi hanno detto». Ma l’emergenza Covid si è trasformata presto in tragedia e tutte le strutture sanitarie hanno dovuto attrezzarsi per far posto a possibili pazienti. Compresa la casa di cura dov’era ricoverata Luciana Cantaluppi: «Il 15 mattina, era una domenica, ricevo una telefonata: “ci hanno precettato i letti dalla Regione, non possiamo più garantire la stessa sicurezza, è meglio se venite a prenderla”. Sono andata il giorno stesso e l’ho portata a casa». Avrebbe dovuto essere un periodo di convalescenza dopo una frattura al femore, si è trasformato in qualcosa di completamente diverso: «Dopo due giorni ha iniziato a essere inappetente, molto stanca e affaticata. Da giovedì ha iniziato ad avere anche la febbre a 38. Sabato scorso è è venuto il dottore di turno in guardia medica a visitarla, tutto bardato, e lui subito ha sospettato il Covid. Da lì siamo stati catapultati in un’altra dimensione e in un altro secolo». Un secolo in cui le persone rimanevano a curarsi in casa e i medici e gli infermieri diventavano i loro parenti: «Nessuno è venuto a farle il tampone. Inoltre le assistenze domiciliari integrate non sono attivabili in caso di sospetto coronavirus. Ho chiesto il test, ma ci hanno detto che il tampone viene fatto solo in ospedale e in casi seri che già presentano complicanze. Ci siamo domandati: cosa facciamo? Il medico ha detto che in ospedale riceverebbe forse le stesse cure che le potevamo garantire io e mio padre in casa. E così abbiamo deciso di curarla noi».

Ma nonostante le mascherine, i guanti, le protezioni, il papà di Lia ha iniziato ad avere la febbre. E poi la tosse. E così, venerdì mattina, è stato portato in ospedale: «Ha un focolaio. L’ho sentito, sta abbastanza bene, ma è stato contagiato».

A combattere accanto alla nonna è rimasta soltanto Lia. E il suo fidanzato, costretto a restare a distanza e a correre a caccia di bombole d’ossigeno tra una farmacia e l’altra: «È una battaglia quotidiana. Perdo ore al giorno a chiamare le farmacie per recuperare le bombole. Io sto usando la stessa mascherina da 10 giorni. Mancano i disinfettanti. A questo si aggiunge il fatto che nel 2020, quando ti raccontano delle ricette telematiche per velocizzare, ne nostro caso non vale: la ricetta della bombola è quella rossa e quindi devi andarla a prendere fisicamente dal medico e portarla fisicamente in farmacia». Ma nonostante le bombole, gli sforzi, le cure, la signora Luciana fatica a respirare: «Ma è lucida. Io ho ancora le fiale di morfina da farle, nel caso peggiorasse».

«Piombati nel secolo scorso»

Il caso raccontato da Lia, forse, non comparirà mai nella lista ufficiale dei pazienti positivi al coronavirus: «I numeri forniti non sono neppure lontanamente vicini a quelli reali. Anche al 112 ci hanno risposto che in ospedale si va soltanto per quei casi con complicazioni evidenti». E a rendere ancor più solitaria la battaglia di Lia, ci ha pensato pure l’Ats: «Dovevano consegnarmi i presidi per la convalescenza di mia nonna.Saputo che forse aveva il Covid, mi hanno detto: allora niente presidi. “Non abbiamo le protezioni per poterli consegnare”. Questo virus ci ha fatti davvero piombare in un altro secolo del passato».n 
Paolo Moretti

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