Mozzate, la confessione dell’omicida
«Mi ha preso a pugni e l’ho accoltellato»

Flavio Briancesco al pm: «Abbiamo litigato. Non immaginavo di averlo ucciso». E ha fatto ritrovare l’arma utilizzata. Borsani colpito al cuore

In una saletta della caserma carabinieri di Mozzate, Flavio Briancesco siede a testa bassa di fronte a una scrivania. Si agita il giusto, e non solo perché la sedia in plastica alla lunga non è così comoda. Prima che la sua fidanzata lo consegnasse ai militari, ha fatto in tempo a togliere la maglia sporca di sangue e a indossarne una azzurra pulita.

Accanto a lui l’avvocato d’ufficio, Federico Dotti. Di fronte i carabinieri del nucleo operativo radiomobile di Cantù e il pubblico ministero Antonio Nalesso. Il quale, prima di attaccare con la prima delle poche - ma chirurgiche - domande al sospettato del delitto di Lorenzo Borsani, fa un sospiro e alza lo sguardo sull’uomo che siede davanti a lui: «Allora, com’è andata?». E il sospettato inizia a confessare.

Sono le 21.30 del primo giovedì d’agosto, caldo ma neppure troppo. Sono passate tre ore da quando il coltello opinel che Briancesco portava sempre con sé, nella sua cassetta degli attrezzi, ha trapassato il cuore di Borsani strappandogli la vita. L’omicida ha deciso di parlare, raccontare tutto o, almeno, dare la sua versione dei fatti. Poco prima ha anche accompagnato i carabinieri nel giardino della casa abbandonata dove aveva lanciato il coltello sporco di sangue.

E racconta la sua violenta lite con Borsani: i due uomini vengono alle mani (in caserma l’omicida si toccherà più volte il lato sinistro del volto, raggiunto da un pugno sferrato dal rivale). Briancesco infila la mano destra in tasca. Afferra il coltello. Lo apre. E tira almeno un fendente (l’autopsia chiarirà quante sono state le ferite, se una - come confessato dall’omicida - o di più) che raggiunge Borsani sul fianco sinistro, all’altezza del cuore. Fatale.

L’uomo afferra la cassetta degli attrezzi e si allontana a piedi. Nel frattempo lancia il coltello nel giardino di una villetta abbandonata e chiama un amico (a cui non dice cos’ha appena combinato). Si fa portare a Locate Varesino, a casa della fidanzata. Dove, disperato e sporco di sangue, racconta di aver colpito Borsani con una coltellata: «Ma non credevo di averlo ucciso» farà mettere a verbale poche ore dopo.

I carabinieri, nel frattempo, gli stanno dando la caccia. Un paio di auto sono dirette a casa sua, a Mozzate. Altre due a casa della fidanzata, che però gioca d’anticipo e chiama in caserma. All’arrivo degli investigatori, lui consegna loro i vestiti sporchi di sangue, li porta a recuperare il coltello e arrendevole si lascia trasportare in caserma per attendere il magistrato a cui confesserà ogni cosa.

Ora si trova in carcere, al Bassone, con l’accusa di omicidio volontario. La Procura, al momento, non gli contesta alcuna premeditazione. Lunedì sarà interrogato dal giudice delle indagini preliminari.

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