Paratie, Ferro e Viola condannati
«Sprecati 2 milioni e mezzo per il muro»

Devono risarcire 43mila euro. Gli altri soldi vanno chiesti a Regione, Comune e Sacaim

Lo scandalo del muro è costato alle casse pubbliche più di due milioni e mezzo di euro. Soldi che, ora, la Corte dei Conti ha deciso di chiedere agli amministratori e ai dirigenti pubblici che hanno concorso al pasticcio di dieci anni fa, padre di tutti i guai del cantiere paratie.

I giudici contabili di Milano hanno ribaltato l’assoluzione di primo grado ad Antonio Viola e Antonio Ferro, rispettivamente ex direttore dei lavori ed ex responsabile unico del procedimento paratie, condannandoli in appello a pagare rispettivamente 27mila e 16mila euro. Le due cifre sommate, secondo i giudici, ammontano al 10% del denaro (poco meno di 440mila euro) che, a detta dei magistrati della Corte dei Conti, dovrebbe essere restituito per danno erariale da componenti di giunta, avvocatura e segretario generale del Comune di Como in carica tra il 2009 e il 2011. Il resto della cifra - fino ai due milioni e mezzo di danno sancito dai giudici - dovrebbe essere messa in conto a Regione Lombardia, Soprintendenza, progettisti, commissione di collaudo in corso d’opera e Sacaim «che hanno cooperato a determinare il danno».

L’accordo bonario

Oggetto del procedimento erariale il cosiddetto accordo bonario che ha portato il Comune a pagare 2,9 milioni di euro a Sacaim per via dello stop al cantiere del 2009 dopo lo scoppio dello scandalo del muro e la necessità di rivedere il progetto dell’opera (con il varo della variante numero 1 del progetto paratie).

Secondo i magistrati quella variante non era ammissibile in quanto ha «inciso in modo essenziale sulla natura dell’opera», a dispetto di quanto prevede la norma. Scrivono i giudici: «Con la perizia 1 del 2010, originata dalle contestazioni alla costruzione del muro, si è passati da un sistema di risoluzione del fenomeno delle esondazioni basato su un sistema di barriere fisse in cemento, integrate da barriere a innalzamento automatico, a un sistema di contenimento delle acque alte in virtù di una serie di barriere mobili». Inoltre sempre quella variante ha cercato di sanare opere realizzate dall’azienda mai approvate in precedenza.

In primo grado Ferro e Viola vennero assolti in quanto avrebbero subito «pressioni politiche» tali da escludere la colpa grave. I giudici dell’appello non ci stanno: non possono i tecnici - scrivono - accettare supinamente soluzioni non in linea con la normativa sugli appalti: «Se è vero - si legge nella sentenza - che avevano ricevuto “direttive dall’alto” è altrettanto vero che avevano i poteri per scongiurare ed evitare l’andamento anomalo dell’appalto o comunque per limitarne gli effetti patrimoniali negativi per il Comune».

Interessi pubblici e privati

Inoltre i giudici non credono alla “scusa” più volte ripetuta che si sia deciso di non risolvere il contratto con Sacaim - a dispetto della normativa sugli appalti - per non addossare al Comune gli oneri della risoluzione, quanto piuttosto «per evitare eventuali responsabilità personali» di chi ha preso parte al pasticcio del muro. «Gli errori progettuali o le scelte di modificare il progetto furono del Comune», perché se fossero state di Sacaim il conto da pagare per chiudere i conti con l’azienda sarebbero ammontati a 400mila euro al massimo, non certo i 2,9 milioni dell’accordo bonario che ha gettato al vento denaro pubblico.

© RIPRODUZIONE RISERVATA