Pennestrì padre e figlio escono di cella
Finiranno di scontare la pena a casa

Il giudice di sorveglianza accoglie l’istanza dell’avvocato di Antonio e Stefano. L’ex patron della Comense ai domiciliari, per il giovane due anni di lavoro ai servizi sociali

Troppo anziano per stare in cella il padre. Nei termini per chiedere l’affidamento in prova ai servizi sociali il figlio. Antonio e Stefano Pennestrì (commercialista il secondo, ex il primo) sono tornati a casa dopo tre mesi e mezzo trascorsi in cella in seguito alla pena per corruzione che hanno patteggiato (tre anni e dieci mesi il padre, 2 anni e 4 mesi il figlio) nell’ambito dell’inchiesta sulle mazzette pagate ai vertici dell’Agenzia delle entrate di Como. Complessivamente, considerando la custodia cautelare, i due Pennestrì hanno trascorso in carcere sette mesi.

La scarcerazione

Il provvedimento del giudice di sorveglianza è arrivato ieri, a dispetto delle rigide regole della legge “spazzacorrotti”, dopo che il nuovo avvocato di padre e figlio (il legale comasco Francesca Binaghi) ha formalizzato una doppia istanza, accolta dal magistrato. Antonio Pennestrì ha ottenuto di poter terminare di scontare la propria pena ai domiciliari. Una decisione legata all’età avanzata - quasi 79 anni - ma anche all’attuale situazione sanitaria, con l’emergenza coronavirus.

Il figlio, invece, dovendo scontare ancora poco più di un anno ha ottenuto l’affidamento ai servizi sociali: da qui all’estate dell’anno prossimo dovrà lavorare in un’azienda. Terminato quel periodo il giudice potrà sancire la fine del periodo di detenzione.

L’inchiesta

Stefano e Antonio Pennestrì erano stati arrestati poco meno di un anno fa dai finanzieri del nucleo di polizia economico-finanziaria nell’ambito di un’inchiesta - condotta dal pubblico ministero Pasquale Addesso, e tuttora in corso - su un giro di mazzette pagato all’ex direttore dell’Agenzia delle entrate di Como, Roberto Leoni, e al responsabile dell’ufficio legale del fisco comasco, Stefano La Verde. A giovare del sistema Pennestrì imprenditori serici comaschi, società sportive, professionisti.

Un’inchiesta, quella di Procura e Finanza, che si è trasformata in una sorta di vaso di Pandora. L’arresto dei Pennestrì e dei vertici dell’agenzia del fisco ha infatti portato i finanzieri a mettere le mani - tra l’altro - su un’agendina che il funzionario Stefano La Verde teneva in casa e dove appuntava i nomi dei professionisti che aveva aiutato e il compenso pattuito per il suo aiuto. La Verde, così come Leoni oltre al commercialista di via Auguadri e al padre ex commercialista, avevano tutti quanti reso ampie confessioni (non solo: tutti hanno patteggiato la loro pena e hanno anche risarcito il danno).

Per giornate intere i protagonisti della tangentopoli del fisco erano stati interrogati in carcere dal pubblico ministero Addesso, interrogatori tuttora secretati dalla Procura e i cui contenuti - è facile immaginarlo - hanno tirato in ballo il nome di altri personaggi comaschi che hanno potuto usufruire dei favori di funzionari del fisco al libro paga di chi cercava sconti, dopo essere stato pizzicato non in regola con i pagamenti delle tasse.

Ma questa, per i Pennestrì, è un’altra storia. Una seconda tranche di un’inchiesta partita da loro e che non si sa dove potrà approdare.

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