Pennestrì: «Pagavo tangenti
al fisco già nel 1980»

Antonio Pennestrì ammette: buste con i soldi per non versare le tasse da ben quarant’anni. E sui rapporti con l’ex direttore dell’Agenzia delle entrate: «In poco più di un anno gli ho dato 50mila euro»

Già «negli anni Ottanta mi è capitato che pagassi funzionari dell’ufficio imposte consegnando loro buste di soldi». Più che un sistema, la corruzione in voga per aggirare il pagamento delle tasse è una vera e propria prassi consolidata nel tempo, tanto da diventare patrimonio di decine di professionisti. Le parole pronunciate da Antonio Pennestrì, elogiatissimo presidente della Comense prima di essere pizzicato per ben tre volte a commettere reati sempre sull’onda del “frodiamo il fisco”, suonano come uno schiaffo per tutti i contribuenti onesti. E confermano l’allarme lanciato da Procura e giudice delle indagini preliminari: a Como da decenni c’è chi paga (e chi accetta soldi) per sottrarre fondi pubblici e creare provviste in nero.

La confessione di Pennestrì risale allo scorso luglio, ma solo con gli arresti della scorsa settimana è uscita dagli archivi blindatissimi della Procura (era infatti stata secretata, e visto il recente blitz è lecito intuire anche perché).

La confessione choc

Nel verbale, Pennestrì, a parte ammettere di aver pagato mazzette negli anni ’80 sapendo bene che quei fatti ormai sono abbondantemente prescritti (peraltro precisando che dei corrotti dell’allora ufficio imposte di via Borsieri «non ricordo i nomi e non so neanche se sono ancora vivi»), confessa di fatto solo quello che non può proprio negare. Ovvero quei rapporti a suon di mazzette allacciati con Roberto Leoni, ex direttore dell’Agenzia delle entrate protagonista della prima tranche di arresti operata dagli uomini del nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza di Como. «Leoni? Ci siamo conosciuti negli anni ’90 quando lo stesso venne a Como a fare il direttore dell’ufficio delle imposte dirette - sono le parole pronunciate da Pennestrì, interrogato dal pm Pasquale Addesso - Avevamo entrambi la passione per il ciclismo e iniziammo una frequentazione per uscite in bicicletta assieme». Pennestrì garantisce che, all’epoca, di mazzette a Leoni non ne fossero girate. Salvo recuperare il tempo perduto al ritorno in città dell’amico, nell’aprile 2017. «Venne a trovarmi in studio per salutarmi. In occasione di un secondo incontro mi portò le liste delle società oggetto di controllo da parte dell’Agenzia delle entrate» per verificare la presenza di clienti dello studio Pennestrì.

Il prezzo della corruzione

Qui la memoria dei due diverge: l’ex commercialista sostiene di non aver sollecitato quella lista, l’ex direttore del fisco di aver trovato ad aspettarlo, nell’ufficio dell’amico appassionato come lui di pedali, una borraccia di “gatorade grande” con all’interno più di 2mila euro in contanti. Ricordi diversi ma, si sa, la memoria è indulgente di fronte a ciò che conviene dimenticare.

Fatto sta che da lì in avanti - nel giro di poco più di un anno - Leoni riceverà da Pennestrì «la somma complessiva non inferiore a 50mila euro in più tranche» oltre ad ulteriori «somme di denaro che» l’ex direttore «giustificava anche per la necessità di sostenere le spese per il figlio che studiava all’estero». Senza contare la volta in cui i due amici andarono a far shopping assieme e l’ex patron della Comense gli regalò «vestiti per lui e per il figlio per un importo complessivo di 500 euro».

E il sodalizio criminale sarebbe molto probabilmente continuato se, nel giugno dello scorso anno, le fiamme gialle non fossero intervenute a stroncarlo con gli arresti. A confermarlo lo stesso Pennestrì: «Dopo il trasferimento a Varese, Leoni venne da me a chiedermi se avevo clienti su quel territorio». Che una mazzetta torna sempre comoda.

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