Rifiuti dei clan,
lo snodo era a Como

Le motivazioni del processo sulle infiltrazioni della ’ndrangheta nella società che operava a La Guzza. Il giudice: «Il titolare in affari con la malativa per interessi personali». E il genero del boss lavorava nella discarica

«L’impianto di “La Guzza”, nella sostanza, fungeva da reale snodo del traffico dei rifiuti, garantendo al sodalizio un “destinatario formalmente corretto” dei vari trasporti, mentre i rifiuti, che solo apparentemente venivano trattati presso l’impianto comasco, in realtà erano destinati ad essere abbandonati o interrati in aree dismesse con l’aiuto di staffette che guidavano i trasportatori verso il sito abusivo di volta in volta individuato».

Dalle motivazioni della sentenza, che ha fatto cadere le accuse di estorsione e intimidazione mafiosa ai danni dell’ex titolare della Smr Ecologia (la società che gestiva l’impianto di smaltimento rifiuti sotto la Pedemontana), emerge come l’ex sito dell’Econord sia stato trasformato a fulcro dei traffici illeciti di rifiuti della ’ndrangheta.

La vicenda è nota: Matteo Molinari, imprenditore brianzolo e titolare della Smr Ecologia (sede legale a Busto Arsizio, base operativa a Como in località La Guzza), dopo essere finito in carcere per traffico di rifiuti assieme a componenti della locale di Lonate Pozzolo della ’ndrangheta ha lanciato accuse proprio contro i clan sostenendo di essere stato costretto, a suon di minacce, ad aprire le porte dell’azienda ai clan. Una versione alla quale il Tribunale di Como non ha creduto.

«Colluso per interesse»

«Dopo una prima scelta dell’imprenditore che la stessa accusa implicitamente riconosce non essere stata imposta con violenza o minaccia, ovvero la scelta di assumere Daniele Frustillo, risultato poi essere contiguo all’associazione criminale n’drangheta», la Smr Ecologia «sarebbe stata progressivamente assorbita nelle maglie dell’organizzazione criminale diretta da Vincenzo Rispoli, capo indiscusso della locale della ‘ndrangheta di Lonate Pozzolo» scrivono i giudici nella loro sentenza.

«L’incontro tra una consorteria criminale e l’imprenditore - si legge ancora nelle motivazioni - non è mai casuale, bensì voluto o progettato da una delle due parti in gioco e spesso, come nel caso che qui ci riguarda, è lo stesso imprenditore ad esporsi alla contaminazione della ‘ndrangheta per ottenere i servizi dell’organizzazione criminale, e non perché posto sotto scacco con violenza e minaccia»

Secondo il Tribunale di Como l’imprenditore lombardo è «un “imprenditore colluso”, che ha stabilito un rapporto sinallagmatico con quella che sapeva essere una cosca criminale, con la quale ha scelto di entrare in rapporto di collaborazione per perseguire consapevolmente l’obiettivo di imporsi nel territorio in posizione dominante. In poche parole Molinari, lungi dall’aver subito passivamente imposizioni da parte di soggetti appartenenti o comunque contigui alla ‘ndrangheta, ha agito quale concorrente esterno nell’ associazione mafiosa».

Economia legale e clan

Ciò che descrive il Tribunale di Como, è una dinamica ben nota nelle strategie della ’ndrangheta del terzo millenio: «Molinari ha consapevolmente rivolto a proprio profitto l’essere venuto in relazione con il sodalizio mafioso, con la consapevolezza di essere entrato in rapporti di affari con una consorteria criminale organizzata, e con la consapevolezza di favorire il suo inserimento nell’economia legale, garantendo all’organizzazione mafiosa lo sviluppo della sua rete relazionale all’interno del contesto legale sì da poter meglio perseguire i suoi scopi illeciti».

La svolta avviene «dopo l’acquisto dell’impianto di La Guzza nel 2017» quando Molinari caccia i collaboratori storici e chiama a sé non solo Frustillo ma anche Giovanni Lillo, genero del boss della ’ndrangheta di Lonate Pozzolo che «aveva già iniziato a lavorare presso l’impianto di La Guzza come dipendente» di una cooperativa e poi chiamato da Molinari nella Smr Ecologia.

Ma non solo. Perché i clienti scelti per operare con l’impianto comasco erano tutti «pacificamente legati ad ambienti malavitosi, con i quali Molinari non ha disdegnato di avere rapporti commerciali a fini evidenti di profitto, clienti che da solo non avrebbe saputo gestire e per i quali era necessaria la collaborazione di Frustillo»

Infine la sentenza fa emergere un’altra figura nota: quella di Angelo Romanello, già coinvolto nella triste parabola della Perego Strade, trait d’union tra i camion Perego e i trasporti di materiale sospetto nel cantiere dell’ospedale Sant’Anna, e pronto - sempre stando alla sentenza - a trovare un prestanome a Molinari a cui intestare «la società ormai decotta e definitivamente passata nelle mani della ’ndrangheta» nonché ad aprire «nuovi canali di smercio dei rifiuti in meridione».

Ora gli atti a carico del titolare che ha riempito di rifiuti dei clan La Guzza sono tornati all’antimafia di Milano. Con la richiesta del Tribunale di Como di scavare bene l’ipotesi di un concorso in associazione mafiosa per l’insospettabile imprenditore.

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