Rifiutò tre volte una richiesta di asilo
Il tribunale condanna la questura

Battaglia a colpi di carte bollate sull’allontanamento di un cittadino del Bangladesh - Per il decreto Salvini non poteva ripresentare domanda di protezione per evitare l’espulsione

Como

La questura di Como è stata “condannata” dal tribunale di Milano ad accogliere una domanda di protezione internazionale - cioè di asilo politico - presentata e respinta per ben tre volte da un cittadino originario del Bangladesh, che era stato espulso dal territorio nazionale e che, forse proprio per questa ragione, confidava di poter interrompere la procedura di allontanamento dal Paese.

Prima che al tribunale di Milano, il caso era già stato sottoposto per due volte al Giudice di pace di Como, che per due volte aveva annullato l’espulsione comminato dalla questura contestualmente al respingimento della domanda di asilo.

Alla terza volta, anziché limitarsi a impugnarlo di nuovo davanti al giudice di pace, l’avvocato che in questo lungo braccio di ferro ha assistito il cittadino straniero, promuoveva un ricorso urgente anche al tribunale di Milano, contestando all’ufficio immigrazione della questura di essersi spinto ben oltre le sue prerogative.

Cosa dice la norma

In altre parole, nella lettura fornita dal ricorrente, in viale Roosevelt si sarebbero dovuti limitare ad accogliere la domanda, sia pure reiterata, e a trasmetterla alla commissione territoriale di competenza. Tutta la questione ruota attorno a una norma contenuta nel decreto Salvini, norma che alla sua entrata in vigore restrinse i margini di manovra “difensivi”.

La questura e la commissione

In altre parole, se uno straniero viene espulso non può ripresentare una domanda di protezione dopo che questa sia stata già respinta. La questione è molto tecnica, figlia di una doppia interpretazione del medesimo articolo, il 29 bis del testo unico delle leggi sull’immigrazione: nel senso che la questura di Como per tre volte respinse la domanda ritenendola inammissibile “ex lege”, quando invece - secondo l’interpretazione dell’avvocato Tommaso Scutari, che a questo punto è anche quella del tribunale di Milano - gli uffici di viale Roosevelt avrebbero dovuto comunque accoglierla, salvo poi trasmetterla alla commissione territoriale di competenza.

Non che in questura siano “cattivi”; l’ufficio immigrazione si è limitato a ottemperare alle disposizioni contenute in una circolare ministeriale secondo la quale è proprio la questura a comunicare l’inammissibilità, salvo poi notificarla alla commissione territoriale che, dal canto suo, si limiterà a prenderne atto senza entrare nel merito. Il caso ha fatto parecchio discutere non soltanto nel Comasco: «Sì all’espulsione, perché la legge è legge per tutti - ha commentato l’avvocato -, ma nel rispetto del corretto procedimento e dei presupposti di diritto: il diritto di asilo, anche in tempi di “covid-19”, presuppone il rispetto della Legge e dei diritti umani , e i tribunali sono appunto preposti al controllo e alla verifica di detti presupposti che traggono fondamento dalla Carta Costituzionale in sintonia con la normativa europea di riferimento».

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