Una pietra d’inciampo e 9 medaglie
A Como la Giornata della Memoria

Commemorazione alla biblioteca comunale con gli studenti comaschi - Il prefetto: «Analizziamo le ragioni dell’odio». Il provveditore: «Pensiamo all’oggi»

Salone della biblioteca comunale gremito, ieri mattina, per la celebrazione del Giorno della memoria, un’occasione che ha visto partecipare anche numerosi studenti che hanno offerto contributi artistici a un evento in cui il tasso di emozioni è sempre molto forte.

Consegnata anche la prima Pietra d’inciampo di Como: porta il nome di Aldo Raffaello Pacifici, originario di Firenze, Ardito durante la Grande guerra, poi funzionario della dogana a Ponte Chiasso dove andò a vivere con la famiglia. Con l’entrata in vigore delle leggi razziali perse il lavoro e venne incarcerato a Fossoli e poi ad Auschwitz dove venne ucciso il giorno stesso del suo arrivo, il 6 agosto 1944. A ricordarlo è il nipote, che ne ha ereditato il nome e il desiderio di giustizia. Il presidente dell’amministrazione provinciale Fiorenzo Bongiasca ha introdotto le medaglie d’oro che sono poi state consegnate alle famiglie di nove deportati, “Un monito, non solo un simbolo”. Sono andate ai famigliari di Mauro Sanvito, Adalviso Edoardo Motroni, Rocco Casari, Giuseppe e Francesco Dentella, Eugenio Ranzetta, Achille Alfredo Mantova e Antonio Fermini. Quest’ultimo, ha scritto un diario durante la sua prigionia, un volume che i figli Caterina e Aurelio hanno voluto che venisse reso pubblico: ne sono state lette pagine da studenti dell’Itis Magistri Cumacini.

Difficile non apparire retorici e scontati, soprattutto da parte di chi – dalla parte delle istituzioni – si ritrova ogni anno a pronunciare qualche parola che non può essere retorica né, tantomeno, di circostanza. Ci è riuscito perfettamente il Prefetto Ignazio Coccia: «Per me questo è un impegno a ritrovarsi, anno dopo anno, a ripercorrere la più grave tragedia del secolo scorso. Non bastano i libri e i film, alcuni anche di eccellente fattura, che si proiettano in questa occasione. Occorre analizzare ancora i motivi scatenanti dell’intolleranza, del razzismo, dell’avversione per il diverso, di chi veniva ritenuto nemico di un nuovo ordine. E noi abbiamo il compito di attualizzare. Ognuno è ben consapevole che i germi non sono stati debellati completamente e possano avere ancora vitalità. Fatti recenti ci mostrano rigurgiti di antisemitismo, anche in Italia vi sono stati episodi gravi e deplorevoli che non devono essere sottovalutati».

Cita la senatrice a vita Lilliana Segre, sottolineando due passaggi che lo hanno particolarmente commosso quando l’ha ascoltata parlare rivolta ai ragazzi di oggi: «Quando è stata abbandonata da tutti i suoi amici, i bambini che i genitori non hanno più fatto giocare con lei dopo che furono promulgate le vergognose leggi razziali. Allo stesso modo, quando venne portata a San Vittore, il camion su cui viaggiava assieme ad altri nella sua stessa condizione, si muoveva per le strade di Milano nell’indifferenza quasi generale. Ecco, quell’indifferenza è da combattere quanto il razzismo. A nessuno viene chiesto di essere un eroe, come lo furono i Giusti che aiutarono tanti ebrei, ma dall’eroismo alla muta acquiescenza c’è molta distanza. E come possiamo noi, come spesso si dice, passare il testimone alle nuove generazioni se siamo intolleranti? Dobbiamo tornare a un vivere più civile».

Infine i puntuali interventi di Patrizia Di Giuseppe, direttrice dell’Istituto di storia contemporanea Pier Amato Perretta, e Valter Merazzi, presidente del Centro Studi Schiavi di Hitler, hanno ricordato a tutti numeri e circostanze che hanno visto tanti comaschi (più di diecimila tra militari e civili) partire per i campi di lavoro e di prigionia.

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