In pensione a 58 anni? I comaschi dicono di no all’ipotesi Meloni

La riforma Senza provvedimenti si torna alla Fornero. Gli imprenditori: «Manca personale, evitare anticipi». I sindacati: «Andare prima con meno? Rischio povertà»

Sono oltre 86mila i lavoratori comaschi over 50 (dati Istat), su una platea complessiva in provincia di 251mila lavoratori: sul loro futuro aleggia la riforma Fornero, operativa da fine anno, o forse no, tutto dipende dalle scelte del prossimo governo.

Le forze di maggioranza e la piattaforma unitaria sindacale auspicano di ripristinare meccanismi di flessibilità nell’accesso alla pensione. Giorgia Meloni va oltre e propone di scendere a 58-59 anni e con 35 anni di contributi con una riduzione però draconiana del 30% della pensione.

In effetti la coperta è corta: mentre i baby boomers si avvicinano all’età per la previdenza sociale, i giovani che raggiungono l’età di ingresso al lavoro sono sempre meno. A Como l’indice di vecchiaia nel 2021 è stato 216: significa che ci sono 216 anziani over 65 ogni 100 bambini sotto i 14 anni. «Si tratta anche di una questione demografica, al di là del necessario rapporto economico che dovrebbe essere il driver per le scelte future – è il commento di Gianluca Brenna, titolare della Stamperia di Lipomo – c’è il mondo delle imprese che già soffre per la mancanza di personale tecnico, qualificato. Mandare in pensione anticipatamente proprio la parte di lavoratori con più esperienza potrebbe rivelarsi un problema di perdita di competenze e poi di ulteriore difficoltà nel reperire personale inesperto e da formare».

Lo scenario

La riforma delle pensioni Fornero stabilì, si era a fine 2011, l’aumento dell’età per il pensionamento sia di vecchiaia che di anzianità. Le ragioni erano duplici: l’aumento del costo della previdenza sociale e il parallelo aumento delle aspettative di vita. Se non intervengono ulteriori riforme, sarà in vigore da gennaio.

«Ormai si tratta di una formula entrata nelle aspettative. Quella del ministro Fornero era una riforma che cercava di guardare lontano e di portare in equilibrio un sistema che era in disequilibrio – continua l’imprenditore tessile – c’è stata poi la rincorsa alle eccezioni ma, con la tutela dei lavori più usuranti, mi chiedo come si possano gestire imprese, servizi, ospedali se di fatto si riduce il numero delle persone impegnate nel lavoro». Oggi il disequilibrio economico si è aggravato a causa della maggiore spesa per l’indicizzazione di tutte le pensioni all’inflazione crescente.

Nel 2022 per gli assegni pensionistici si spenderanno 297,4 miliardi di euro (15,7% del Pil). Questa spesa salirà nel 2023 a 320,8 miliardi di euro, ed è destinata a salire a 338,2 miliardi di euro nel 2024 e 349,8 miliardi di euro nel 2025. Sono 50 miliardi in più in 4 anni: si restringono gli spazi di finanza pubblica per eventuali nuovi interventi destinati a evitare il ritorno alla Fornero in versione integrale.

A caccia di risorse

«Le risorse necessarie si devono reperire dove ci sono: nell’evasione fiscale e negli extra profitti delle aziende. Non impoverendo fasce di popolazioni già penalizzate che non posso ulteriormente ridurre la propria pensione» spiega Marinella Magnoni, Spi Cgil Como, rispedendo al mittente l’ipotesi di abbassare l’età della pensione con una riduzione di quasi un terzo dell’erogazione. «Significherebbe aumentare le persone in condizione di povertà - aggiunge Daniele Magon, Cisl - serve piuttosto una riforma che dia stabilità, pensata per il lungo periodo, che dia possibilità di fare scelte ponderate per il proprio futuro».

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