Alleniamo la saggezza
tra quattro mura

Lo cantava John Lennon in “What you got”: «Non sai quello che hai / finché lo perdi». E il motto, senza scomodare i classici, non era nuovo neanche per il mondo del rock’n’roll: nel 1961 Ral Donner, un americano dalla voce alla Elvis ma senza il carisma dell’originale, aveva ottenuto il suo più grande successo con una canzone che si intitolava proprio come il ritornello di quella dell’ex beatle, “You don’t know what you’ve got (until you lose it)”.

Una premessa leggera, in questi giorni di piombo, per riflettere su una delle tante cose che abbiamo perso da quando l’emergenza coronavirus ci ha costretti a restare chiusi in casa. Una cosa che fino a poco tempo fa pareva marginale nelle vite di molti di noi, o addirittura si faceva controvoglia. Quante volte i medici hanno raccomandato ai pazienti “deve camminare di più”? I genitori ai figli “schiodati dal computer (o tablet o smartphone) ed esci a fare due passi”? E gli insegnanti agli stessi genitori di evitare di “accompagnare il pargolo con l’auto fin dentro l’aula”? Sì, stiamo parlando della passeggiata. Con passare dei giorni è, incredibilmente (visti i fronti ben più gravi aperti), diventata uno dei risvolti più dibattuti dei provvedimenti per contrastare il coronavirus.

Giovedì 12 marzo si sono addirittura pronunciati, nel giro di poche ore, il Viminale, il sottosegretario alla salute Sandra Zampa e il commissario della Protezione civile Angelo Borrelli, su come dovesse essere interpretata la possibilità di svolgere ’”attività motoria all’aperto”, concessa dai decreti di Conte. «Si deve uscire lo stretto necessario e anche chi va a piedi deve portare l’autocertificazione», sottolineò in particolare Borrelli, rimarcando che «in caso di incidente è molto più difficile essere curati anche perché bisogna evitare in ogni modo di andare nelle strutture ospedaliere e nelle cliniche private».

Sui giornali e sui social il “passeggiante” è diventato quasi una categoria. Dello spirito, prima ancora che della realtà. Per qualcuno è sinonimo di untore e non manca chi si apposta alle finestre per tenere d’occhio quelli che camminano di sotto, peggio se in tenuta da jogging o da trekking. Niente di nuovo: una versione aggiornata della “caccia agli untori” manzoniana.

Infine giunse, a normare la figura del “passeggiante”, su cui ormai comincia a esserci una discreta giurisprudenza, l’ordinanza del presidente della Regione Lombardia del 21 marzo che, ritoccando di qualche sillaba quella firmata il giorno prima dal ministro Speranza, vieta “lo sport e le attività motorie svolte all’aperto, anche singolarmente, se non nei pressi delle proprie abitazioni”. Quel “nei pressi”, però, è un po’ vago e ha lasciato spazio a un’altra ridda di interpretazioni. Sarebbe stato meglio, ha osservato qualcuno, scrivere come nel comma dedicato all’“animale di compagnia” , in cui si precisa che lo si può portare fuori «a distanza non superiore a 200 metri» da casa e solo £per le sue necessità fisiologiche”. E non sono mancati genitori che, avendo peraltro le ordinanze chiuso “parchi, giardini e ville”, hanno sottolineato sui social come pure i bambini avrebbero la “necessità fisiologica” di muoversi.

Insomma, attorno ai “passeggianti”, con o senza quadrupede di compagnia, si sta scatenando un “tutti contro tutti”, che non fa altro che confermare quanto detto all’inizio: ci siamo resi conto, proprio ora che ci è interdetto, che camminare è un’attività preziosa. Paradossalmente nel 2018 l’Organizzazione mondiale della sanità denunciava un eccesso di sedentari, soprattutto nei paesi occidentali: il 36,8% dei cittadini tra il 2001 e il 2016 non ha mosso un passo, se non per estrema necessità (quella cosa che oggi risulta tanto difficile fare).

L’emergere prepotente, e sempre più incontrollato dei “passeggianti”, ha spinto le amministrazioni locali a bloccare a suon di ordinanze dei sindaci diversi sentieri, ignorati dai provvedimenti superiori e dove si sono finiti per concentrare gli irriducibili. Che ce ne fosse bisogno lo ha confermato la cronaca: nei giorni scorsi un 39enne, a passeggio con due cani e la sorella sulla San Donato - mulattiera chiusa in alto

dal Comune di Brunate, ma non da quello di Como in basso - è precipitato nelle forre scavate dal torrente Valduce e - come aveva previsto Borrelli - essendo l’elisoccorso del Sant’Anna dedicato ai casi di coronavius, è dovuto intervenire quello dei vigili del fuoco da Malpensa.

È vero che, come scrisse Henry David Thoreau, i tempi normali camminare nei boschi ci insegna «a vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita». Ma ora, finché non avremo sconfitto il coronviraus, questa saggezza alleniamola tra le quattro mura. Come Nelson Mandela, che nei suoi 27 anni di prigionia fece sempre un’ora di corsa sul posto, e come Rubin Carter, il campione di boxe che durante i 19 anni di carcere per un omicidio che non aveva commesso allenò un altro organo sottostimato in precedenza, il cervello, scrivendo la sua autobiografia e divenendo così, per chiuderla di nuovo in musica, il celebre “Hurricane” della canzone di Bob Dylan.

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