Bambole e cafoni
Il coraggio della verità

Il giornalismo di sinistra è specializzato in conformismo. Il giornalismo di destra, invece, in becerismo. Il secondo è spesso sgradevole. Il primo è sempre insopportabile. E soprattutto pericoloso, perché il conformismo è ormai l’unica unità di misura del mondo, che ha un solo pensiero, una sola grammatica, una sola cultura. Poi, per fortuna, ci sono tutte le eccezioni, a destra come a sinistra, e quando capitano è bello segnalarle, perché allora c’è speranza che non tutti abbiano portato il cervello all’ammasso.

Nei giorni scorsi, a proposito dell’ormai celeberrima vicenda delle molestie sessuali in diretta a una cronista di Toscana tv dopo Empoli-Fiorentina e sulla quale il giornalismo collettivo nazionale si è esibito nel pezzo forte del suo repertorio - ogni riga un’indignazione, ogni capoverso un’indignazione, ogni servizio un’indignatissima indignata indignazione - sono usciti un paio di interventi di rara intelligenza. Attenzione, non firmati da due machisti, sessisti, analfabeti di destra, ma invece da due notissime giornaliste di sinistra: la prima è Conchita De Gregorio, molto radical chic, anzi, l’apoteosi del radical chic, e l’altra, invece, una fuoriclasse indiscussa del mestiere, Natalia Aspesi. E quindi la loro opinione sul tema ha particolare valore.

Bene, premesso che il tifoso che ha messo la mano sul sedere alla giovane e bella cronista è un cretino, un bifolco, dovrebbe vergognarsi e ben gli sta il Daspo di tre anni con cui è stato punito, la Aspesi ha ricordato che quel gesto «esige delle scuse, ma non merita l’ergastolo» e che «dare tutta questa importanza a una vicenda come quella vuol dire che siamo davvero caduti in basso». Perché - e ripetiamolo, lo dice una donna di sinistra - mentre tutti quanti inorridivano a testate unificate per la molestia davanti allo stadio, lo stesso giorno erano morte tre persone sul lavoro, delle quali non importava niente a nessuno: «Tutti si occupavano di quel sedere, nessuno di quei tre morti». Applausi. Un gigante. Una sinistra che finalmente ha il coraggio di dire cose di sinistra. E soprattutto evita di coprirsi di ridicolo, come quando chiede tutta tronfia, egagra e stucchevole che al trasgressore venga comminata la pena prevista per la violenza sessuale e cioè tra i sei e i dodici anni. Dodici anni. Lo hanno detto per davvero. Dodici anni. Ma ci rendiamo conto? Ci sono brigatisti che hanno avuto pene più lievi e qui chiediamo dodici anni per una manomorta? Ma beviamo prima di parlare?

E non è finita qui. In una rubrica seppellita a pagina 31 di Repubblica, la De Gregorio, dopo aver premesso che la bellezza non è una colpa, che l’abbigliamento è irrilevante, che devono valere solo le capacità professionali, che nessuno può essere toccato senza consenso, che il reato è grave e il reo un cretino eccetera eccetera si domanda «se nel giornalismo televisivo sportivo televisivo la ricorrenza di conduttrici e croniste con il fisico da pin up sia una casuale ricorrenza statistica oppure se sia un criterio adottato da editori, direttori e caporedattori con la speranza di sollevare l’audience». E questo è un ragionamento - ripetiamo: fatto da una donna di sinistra - davvero malizioso perché prefigura un sospetto inaudito. E cioè che il sessismo e l’utilizzo delle giovani come mero oggetto di desiderio, come mero pezzo di carne da esibire sia patrimonio non solo dei maschi - e fin qui tutto normale, è cosa nota che siamo una manica di scimmioni ritardati -, non solo dei direttori – e anche qui tutto normale: i direttori se li conosci, li eviti – ma anche delle stesse donne, che sapendo come sono fatti gli uomini, non li contestano, ma anzi utilizzano quella discriminazione per fare carriere che, se fossero brutte, basse e grasse, anche se talentuosissime, non potrebbero mai immaginare. Altro che femminismo.

Un’accusa tremenda, quella della De Gregorio. Sarà fondata? Non si tratterà di mera invidia per tutte queste bellissime ventenni (per quanto lei sia ancora una splendida signora)? E allora, da scrupolosi cronisti, siamo andati a controllare i social delle suddette giornaliste a cui fa riferimento l’editorialista di Repubblica. La fredda cronaca: la competente giornalista sportiva in costume da bagno, la competente giornalista sportiva in tanga, la competente giornalista sportiva che esibisce il suo esuberante davanzale, la competente giornalista sportiva che sfodera il suo maestoso lato B, la competente giornalista sportiva che si rotola dentro un letto, la competente giornalista sportiva che selfeggia le sue labbra a canotto, la competente giornalista sportiva che bamboleggia sul tacco quattordici, la competente giornalista sportiva che fa la sauna, la competente giornalista sportiva che gorgoglia nell’idromassaggio e bla bla bla... E – per l’amor del cielo! – questa non è un’opinione di chi scrive: è solo la descrizione di quello che chiunque di voi può vedere sui profili social delle più note, ma anche delle meno note, anzi, meno sono note più sono scatenate, competenti giornaliste sportive. Giudicate voi.

Ora Aspesi e De Gregorio hanno toccato il punto dirimente (e infatti la prima è subito finita nella gogna dei social). E il punto è che il maschilismo esiste, esiste da sempre, è tenace, insinuante e potentissimo e non è solo un problema degli uomini (di tanti uomini, non tutti…), ma anche, e qui sta la notizia, delle donne (di tante donne, non tutte…) e il vero passo avanti verso la civilizzazione non consiste nel trombonare su giornali, siti e tv sulla manomorta di quello là da attaccare per i piedi a piazzale Loreto, ma su una cultura da estirpare anche in tante donne, non solo in tanti uomini. Altrimenti diventa tutta una buffonata con la quale fare caciara per un po’ per poi tornare a considerarle delle oche e delle bambole. Lasciando inevasa un’ultima domanda. Perché la più brava giornalista sportiva per distacco, Emanuela Audisio, non è mai andata in televisione? Date un’occhiata alle sue foto e datevi una risposta.

@DiegoMinonzio

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