Conformismo, il male
dell’Italia che comanda

L’amichettismo è la prosecuzione del conformismo con altri mezzi. Nella repubblica delle banane ha suscitato ampie e virulente polemiche - durate la bellezza di quarantotto ore, vi rendete conto dell’enormità? - la contestazione di gruppi femministi e ambientalisti che ha impedito a Eugenia Roccella, ministro per la famiglia del governo Meloni, di presentare il suo romanzo al Salone del libro di Torino.

Come d’abitudine, è subito partita la scazzottata tra i due schieramenti a colpi di fascismo, fascismo degli antifascisti, terroristi, squadristi, comunisti, anime belle e tutte le altre piacevolezze che inzaccherano il penoso livello del dibattito storico culturale del paese, con tanto di scomuniche, maledizioni, minacce, sceneggiate, intemerate, suffragette, pulzelle e il resto del circo Medrano dell’infotainment all’italiana.

Ma è tutta fuffa. Tutto avanspettacolo. Granone per i polli che si bevono soltanto i gonzi che non sanno come vanno veramente le cose nel paese di Pulcinella. Fascismo e comunismo sono roba seria. Roba forte. Roba del Novecento. Fenomeni storici incardinati nel tempo e nello spazio con tutti i loro abissi e i loro demoni, che hanno avuto un principio e una fine come accade a tutti i fenomeni storici e che solo i truffatori - o gli sprovveduti - possono catalogare come categoria dello spirito, perché altrimenti diventano, nel migliore dei casi, filosofia, metafisica, metastoria o, nel peggiore, cioè quello che si vede in Italia da trent’anni, un insopportabile manganello ideologico usato per pestare e ghettizzare gli avversari politici accusandoli di appartenere a un mondo che non esiste più. Da qui, la sensazione di ridicolo e di grottesco quando, più o meno ogni cinque minuti, senti il solito intelligentone di turno dare del fascista a quello o del comunista a quell’altro. Fanno ridere. E manco se ne rendono conto.

Ora, al di là della sgradevolezza del caso Roccella - cosa sarebbe successo se dei militanti di Casa Pound avessero impedito di parlare alla Murgia o a Carofiglio o qualcun altro dei trecento (fate voi, tanto sono tutti uguali, dicono tutti le stesse cose, scrivono tutti gli stessi libri) intellettuali e intellettualesse del maistream editoriale e catodico? - la realtà è del tutto diversa. Non c’è nessuna questione legata al fascismo, né tantomeno al comunismo. L’unica questione che infetta e ammorba e devasta la cultura italiana è, appunto, l’amichettismo.

L’amichettismo è un fenomeno molto pervasivo che per ragioni storiche - la destra è rimasta per mezzo secolo dentro le fogne in parte perché ce l’hanno tenuta, in parte perché era la sua Terra di Mezzo e soprattutto perché ha sempre avuto un tasso di analfabetismo da Congo Belga – è finito con il coincidere con la sinistra. Ma, come detto, sono termini inadeguati, parole vuote, artifici posticci di un passato nobile e tragico e di un presente penoso e avvilente. Conformista al cento per cento. Autoreferenziale al mille per mille. E’ il linguaggio, il codice, il criterio, il monolito della culturetta italiana, una culturetta da quattro soldi, da borghesucci, da Madame Verdurin, quella che si presenta i libri a vicenda, si recensisce il libri a vicenda, si assegna i premi a vicenda, trae film e serie da altrettanti romanzi che non sono romanzi, ma sceneggiature televisive, a vicenda, che non si scolla di un millimetro dal raccontino mainstream, da casalinga di Voghera, da mezzemaniche flaubertiano, da luogocomunista indefesso, tutto dedito a strusciarsi al potere dei soliti noti che gli garantiscono il posto, il programma, la rubrichetta e tutto il resto che chi non sia sceso ieri dalla pianta vede quotidianamente spalmato su televisioni, giornali, radio e social.

E se è così - ed è così - fanno ridere quelli di destra quando ululano al regime comunista della cultura. Dov’è il comunismo? Questo non è comunismo. Magari, paradossalmente, lo fosse. Questo è semplicemente paraculismo. E’ difesa della poltrona, della casamatta, della linea del Piave, del loro salotto, della loro terrazza, del loro circolo di amici, anzi di amichetti, appunto, dell’amichettismo in quanto stile di vita, visione del mondo, modo di essere. E, allo stesso modo, fanno ridere quelli di sinistra quando ululano al regime fascista mentre parlano dei nuovi padroni del vapore. Ma scusate, l’intrepido ministro della cultura Sangiuliano - quello che, un attimo prima di venire sommerso dalle risate, ha detto che Dante è il primo pensatore di destra - vi sembra che abbia la statura del soggetto di malarazza, il physique du role dello squadrista farinacciano? Chi vi sembra, Bombacci? Ci può credere solo un nostalgico appena uscito da una fiaschetteria di Latina.

Per il resto, è solo questione di tempo. Datele tempo, alla nuova destra. Datele cinque anni o dieci anni e, potete giurarci, già si coglie dai suoi primi passi, l’amichettismo di sinistra verrà sostituito dall’amichettismo di destra e per ogni Floris e Formigli e Damilano e Fazio e Littizzetto e Bignardi e Saviano e Veltroni e aggiungete pure voi tutti gli altri, che sono legioni e plotoni e corpi d’armata, del pensiero unico conformista collettivo sinistroide, arriverà il Floris e il Formigli e il Damilano eccetera eccetera del pensiero unico conformista collettivo destroide, che a sua volta inizierà a invitare solo i suoi amichetti e a recensire solo i suoi amichetti e a presentare i libri solo dei suoi amichetti e a trarre film penosi e fiction ancor più penose dalle penosissime sceneggiature dei suoi amichetti sempre più amichetti e bla bla bla.

Tutte chiacchiere, tutti distintivi, tutti strumenti di distrazione di massa, tutto ciarpame ad uso del generone, materiale di scarto del quale fra qualche anno non rimarrà manco un rigo. A conferma del fatto che nulla resiste al tempo e che, soprattutto, come scriveva quel genio di Longanesi - a proposito di intellettuali veri - la rivoluzione in Italia non si può fare perché ci conosciamo tutti.

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