Gli sfondoni dei ministri e la cultura di governo

La satira, anche se di pessimo gusto, è quella che è, e non ci si può far niente, anzi, guai se si dovesse o potesse fare qualcosa. Giusto che Giorgia Meloni si indigni, perché viene tirata in ballo sua sorella, Arianna, che non ricopre cariche pubbliche, ma ha il solo torto della parentela. E neppure si può gettare la croce addosso al premier per aver elevato al rango di ministro il cognato Francesco Lollobrigida. Lo aveva fatto anche Bettino Craxi scegliendo Paolo Pillitteri, marito di sua sorella Rosilde, come sindaco di Milano. Il problema caso mai sta in quello che dice Lollobrigida. E non solo e non tanto per la frase sulla “sostituzione etnica”, quanto per il tentativo di spegnere l’incendio che ne è scaturito con il dichiarare di essere “ignorante”.

Ma come? Dobbiamo farci governare dagli ignoranti? E allora il ministro dell’Agricoltura ci riporta alle immagini delle “braccia rubate”. Si spera che, almeno, la cognata lo abbia ripreso e avvertito che la prossima volta lo rimanda a casa, dalla sorella. Dove Giorgia sbaglia è nell’invocare la sindrome del complotto e dell’odio contro di lei. Perché se nella sua squadra nasce un caso al giorno, dovuto alle improvvide dichiarazioni dei ministri, alle polemiche interne alla maggioranza, la colpa non è certo degli avversari politici.

Prima di Lollobrigida si erano esibiti Nordio, Sangiuliano e Piantedosi, per tacer del presidente del Senato, La Russa, che nonostante la nuova veste di seconda carica dello Stato, non ha rinunciato a essere “Gnazio”.

Anche la sortita di Giancarlo Giorgetti, uno che le parole era abituato a misurarle, sulle detrazioni di diecimila euro per le famiglie con i figli senza alcun limite di reddito. appare uno sfondone. Quando mai si potrebbe trovare la copertura, a meno di non mettersi a recuperare sul serio il “tesorone” nascosto dell’evasione fiscale senza preoccuparsi dei comportamenti di chi elude il fisco quando prende in mano la tessera elettorale?

Sembra quasi che, dato l’obbligo di adeguare gran parte delle linee guida della politica di governo ai parametri europei, specie per quanto attiene all’economia, vi sia il bisogno di marcare l’identità con parole in libertà, come se gli elettori fossero sprovveduti. Viene il sospetto che alla destra manchi ancora un’adeguata cultura di governo. Eppure, dopo essere stati sdoganati da Silvio Berlusconi, gli eredi del Msi hanno avuto parecchie possibilità di fare pratica senza grandi risultati, salvo poche lodevoli eccezioni, tra cui va citato, non foss’altro perché espressione di questi luoghi, il sottosegretario Alessio Butti.

Per il resto sembra di essere rimasti alla memorabile scena di “Caterina va in città” del regista Paolo Virzì, che vede Claudio Amendola nei panni di un parlamentare della destra che partecipa a un matrimonio di camerati, con tanto di canzoni d’antan, saluti romani e reduci rosicanti.

Ecco, Giorgia Meloni, se vuole lasciare un buon ricordo di sé e magari perpetuare la sua esperienza di capo del governo, dovrebbe lavorare su questo anziché evocare complotti e odio. Lei ha la cultura e l’esperienza necessarie: può trasmetterle agli altri e invitarli, magari, prima di parlare di pensare a quello che stanno per dire.

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