I priviliegi di Belen
e i disagi dei “non vip”

“Indaga la Procura”. Quante belle storie italiane finiscono con questa scritta sui titoli di coda? Anche quella che stiamo per riassumere con tutta probabilità finirà così. E perché no? Ci sono tradizioni difficili da sradicare. Per il momento, in Procura c’è solo un esposto: presentato dal Codacons, organismo, va detto, non avaro in fatto di esposti: al suo attivo ne risulta anche uno sulle scie chimiche.

Nella fattispecie, il Codacons chiede alla Procura di Padova di indagare su presunti reati di “interruzione di servizio pubblico e abuso d’ufficio” a carico dell’azienda ospedaliera locale. Prova a carico, una bimba di 2,9 chilogrammi alla nascita: Luna Marì, figlia della showgirl Belen.

Per lei, ma soprattutto per la madre, l’ospedale di Padova avrebbe chiuso un’intera ala del terzo piano. Un trattamento Vip legittimo in una clinica privata, ma fuori luogo per una struttura pubblica. A dar man forte al Codacons, i sindacati di categoria: “Il personale è stato costretto a spendere energie per riorganizzare un intero piano oltre che per contenere la presenza dei paparazzi. Insomma per delle necessità specifiche non giustificabili”.

Nella chat dei dipendenti del reparto Ostetricia e Ginecologia è anche comparsa la foto di un cartello: “Causa Belen, disattivati i pulsanti del terzo piano degli ascensori”. Come dire: isolamento assoluto per la paziente speciale.

L’azienda sanitaria ha presto replicato sostenendo che “nessuna modifica operativa è stata applicata all’attività del reparto” e che né un piano dell’ospedale né una sua parte è mai stato chiuso al pubblico. Il cartello? “Un promemoria interno redatto da un operatore del servizio e non esposto al pubblico”.

Ancor prima di sapere se la Procura deciderà di indagare o meno, a noi cittadini non Vip premerebbe sapere se ai pazienti altrettanto non Vip di Padova è stata garantita in presenza di Belen la stessa assistenza che avrebbero avuto in sua assenza. Questo parrebbe essere il nodo della questione. Per dirla tutta, l’augurio è che poi non ci vengano a raccontare favolette, ovvero di credere alla storiella che Belen è stata trattata come una paziente qualsiasi. Questo, semplicemente, non è possibile: la sirena della celebrità canta per tutti e di sicuro ammalia anche chi veste il camice bianco e chi amministra gli ospedali. C’è solo da augurarsi che i privilegi certamente assicurati a Belen non siano diventati disagi o addirittura disservizi per qualche altra puerpera.

“Causa Belen” è a tutti gli effetti una battuta da commedia all’italiana: la vedremmo bene in un film di Zalone ma anche - esageriamo! - in una classica pellicola con Totò e Peppino. Qualcuno ricorderà i tempi in cui i vicoli di Napoli impazzivano alla comparsa di Sophia Loren impegnata su un set allestito in città: c’era chi le chiedeva la grazia e chi le porgeva bambini da baciare. Belen non è Sophia, si capisce, ma l’incantamento, la curiosità e perfino l’invidia per lo status di celebrità sono rimasti come erano allora. E riguardano tutti: tanto i sanitari di Padova quanto gli adolescenti che fanno la fila per incontrare un rapper dalla faccia malmostosa e le braghe semicalate.

Fama e celebrità sono fenomeni che non da oggi percorrono e modificano i comportamenti sociali. Noi italiani riusciamo naturalmente a viverli un poco a modo nostro, ovvero mescolando una certa innata giovialità a un altrettanto capitale servilismo. C’è tutto un “imprinting” collaudato che aspetta solo di entrare in azione: il sorriso, la strizzata d’occhio, il “prego da questa parte”, la soffiata all’amico, il selfie come merce di scambio, l’inchino e il pettegolezzo. E alla fine, si sa, “indaga la Procura”.

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