Il governo è bollito
ma forse non cotto

Non ci fossero le due provvidenziali armi di distrazione di massa che sono il Coronavirus e Sanremo (ma questo solo per una settimana eh), saremmo qui tutti a cianciare del governo Conte “semprepiùafaticainpiedi”, che dal voto in Emilia Romagna anziché trarre un balsamo benefico sembra aver ricevuto un barile di salsa verde per certificare la sua bollitura. Non cottura completa, attenzione, perché la crisi, salvo colpi di scena sempre probabili nell’era politica del Papeete, ma processo di logoramento a fuoco lento, una brodaglia in cui è dolce naufragare per l’odisseo premier, avvocato del tutto folgorato sulla via della politica, e che potrebbe portarlo all’Itaca di fine legislatura o magari consegnare il dauno condottiero Giuseppi alle glorie quirinalizie tra due anni.

Chiaro che qualche contraccolpo dalle elezioni regionali sarebbe arrivato. Soprattutto da parte di chi, volente (vai alla voce Cinque Stelle) o nolente (vedi Matteo Renzi) all’interno della maggioranza quella consultazione l’ha persa. I post grillini passati sotto l’egida del comandante Vito Crimi (che dormiva in Senato poco dopo l’elezione) tentano un fantozziano recupero dopo le debacle di Di Maio tirando fuori i vecchi spartiti giustizialisti e anti casta. L’ex premier ha scoperto che dopo di lui nel Pd non è arrivato il diluvio, anzi, casomai è tornato a splendere il sole, e si affanna livido nel tentare di dimostrare che la sua Italia Viva lo è davvero. Spiazzato dall’ennesimo colpo da Araba Fenice di Berlusconi che lo costringe a rinviare ancora l’opa su ciò resta dell’esercito azzurro, torna indossare i panni del Gianburrasca per rimangiarsi, sulla prescrizione, quello che disse qualche anno fa. Del resto, solo i cretini non cambiano idea. E Renzi non sarà un mostro di simpatia ma il cervello ce l’ha. Poi come lo usa è un’altra faccenda.

Ci sono poi i vincitori della tenzone consumatasi tra il Po e il Rubicone, quelli del Pd che fanno subito la voce grossa per chiedere al premier di lanciare la fase due del governo che sarebbe già un due per quanto attiene alla sua guida, altrimenti si arrabbiano.

In tutto questo c’è una sola certezza ammesso che si possa usare questo termine in contesto così squinterato: il governo non cadrà. A meno che a qualcuno non scappi la frizione come accadde a Salvini nell’agosto scorso. Ma il fatto che il capo leghista stia sempre appostato sotto l’albero di nespole, rappresenta la miglior garanzia che queste ultime resteranno sui rami. Il rischio casomai è che arrivi Giorgia Meloni a soffiargli il posto. Il problema è come si andrà avanti. Per carità, il terzo millennio ci ha offerto per la prima volta esempi di paesi rimasti senza governo o privi di una guida stabile che sono cresciuti alla grande. Questo perché la politica, il suo famoso primato lo ha perso da un bel pezzo. Non significa che la ricetta possa funzionare anche da noi. Perché magari la barca va avanti da sola se si ritrova un buon vento stabile che soffia alle spalle. Se però non è così qualcuno che corregga la rotta ci vuole eccome. Ce la farà il nocchiero Conte nonostante le parti dell’equipaggio che remano poco o addirittura contro? E soprattutto riuscirà, con la sua indiscutibile capacità di mediazione, a tracciare una rotta buona per tutti: per il Pd, per i 5Stelle e per i renziani? La sfida è tutta qui. Perché si può anche viaggiare verso una lunga deriva senza fare naugragio, ma non è certo la navigazione migliore. Ehi della barca, ci lanciate qualche segnale?

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