Il più grande che rendeva
grandi anche i piccoli

Nel film i “Blues Brothers”, a un certo punto, la band ricostituita da John Belushi e Dan Akroyd arriva nel negozio di Ray Charles per procurarsi gli strumenti musicali. Uno dice “questa tastiera è un po’ scarica”. Allora il mitico Ray si mette sul seggiolino, affila le mani e ne esce un sound strepitoso.

Ecco, Maradona era questo: un grande solista capace anche di far rendere al massimo uno strumento o un’orchestra stonati. Per questo in campo è stato il più grande: “meglio ’ Pelè” come cantavano i napoletani. Perché il brasiliano aveva sempre intorno dei fuoriclasse. Ai mondiali del ’70 altri quattro “numeri 10” che sarebbero stati titolari in qualunque altra nazionale. Cruijff era un fenomeno sbocciato però da un progetto di calcio collettivo. Maradona era un unico “10”, spesso circondato da giocatori che sembravano scappati di casa. Eppure grazie a lui rendevano e vincevano. Accadde più che con il Napoli, che peraltro dopo di lui non portò più a casa uno scudetto, con l’Argentina campione del mondo in Messico nel 1986: di quella competizione si ricorda solo lui. Non era mai accaduto prima. E i biancocelesti del 1990 non erano tanto meglio: lui li portò a una finale che dovevano perdere e fu decisa da un rigore inesistente.

Certo, Diego esisteva solo in campo. Marco Travaglio, ieri ha detto che Maradona è morto il giorno in cui ha smesso di giocare.Fuori dal terreno di gioco un uomo pieno di debolezze che l’hanno portato a una fine triste e prematura. A 60 anni, da solo in casa, con tanti rapporti lacerati come quello con la figlia secondogenita Giannina. Davvero gli sia lieve la terra a Diego Armando Maradona, come non lo è stata la vita, quella vissuta lontano dai terreni di gioco in cui era il dio assoluto e indiscutibile. Dio, detto senza blasfemia, è un termine che ricorre spesso nella sua epopea calcistica. Il suo primo allenatore nelle giovanili Francisco Cornejo che lo notò quando aveva 8 anni, non voleva si dicesse che l’aveva scoperto lui ma che era un dono di Dio. Che adesso ha preteso la restituzione.

Quando segnò ai mondiali del 1986 contro l’Inghilterra il famoso gol con la mano che precedette quello con il più fantastico slalom palla al piede della storia calcistica, disse che era stata la mano di Dio. In realtà il padreterno gli aveva regalato due piedi e una coordinazione che nessuno aveva mai avuto prima e forse neppure avrà mai. Anzi, un solo piede. Il sinistro. L’altro, il destro, era superfluo. Fra le tante cose del suo calcio che restano negli occhi c’è quella in cui, da ragazzo, si “pettina” con il pallone. Lo fa roteare sulla chioma corvina, poi scendere sulla spalla sinistra, quindi sulla coscia per poi farlo ritornare in testa con il piede. Ma non era un giocoliere Diego, anche se amava farlo: si divertiva a palleggiare con qualunque cosa, anche un cucchiaino di caffè. Era un giocatore, un uomo squadra o meglio una “squadra uomo”. Alzi una mano chi, al di là del gusto per la giocata, gli ha mai visto fare un passaggio sbagliato. Era un grande che faceva grandi anche i piccoli, perché alla fine, nel bene e nel male, ha sempre avuto il dono della generosità, dentro e fuori dal campo. Il primo scudetto a Napoli lo conquisto contro molti tra cui il suo allenatore, il bravissimo Ottavio Bianchi che però non reggeva più il carattere le bizze e il lato oscuro del suo fuoriclasse e delle vicende non edificanti che lo circondavano.

Se la città partenopea gli dedicherà lo stadio farà bene. Primo perché era già il calciatore più forte del mondo quando scelse di lasciare il blasonato Barcellona per una società non certo di prima fila. E poi perché Diego di Napoli ha preso tutto: il bene e purtroppo il male di una città in cui non esistono colori smunti.

Certo nel suo tentativo di dribblare anche la sregolatezza, di sfidare difensori ben più arcigni di Claudio Gentile, come quelli che hanno minato la sua salute e lo avevano portato già altre volte sul ciglio della fine, non può essere considerato un esempio per i giovani. Eppure quanti artisti, cantanti, poeti letterati ci hanno insegnato che spesso è impossibile separare genio e sregolatezza?

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