Il populista alla fine
si attacca alla casta

E il popolo? E la gente? E la piazza? E il balcone? E le adunate oceaniche? E la sacra sacralità sacralizzante del lavacro elettorale che sempre e dovunque e comunque deve imprimere il suggello su qualsiasi governo, perché è finito il tempo delle caste, delle lobby, delle élite, dei mandarini e d’ora in avanti comanderà il popolo, deciderà il popolo, ci guiderà il popolo?

La prospettiva incombente, immanente e minacciante di una discesa in campo di Mario Draghi, prefigurata dal suo articolo sul Financial Times, apre scenari del tutto nuovi e, vista l’indubbia statura del personaggio, destinati a ribaltare gli schemi del pateracchio politico italiano. Ma, come sempre nei momenti importanti, rivela anche un lato oggettivamente spassoso. E pedagogico. Che è riassunto nell’aforisma denso di venerazione vergato da Giancarlo Giorgetti - «Cristiano Ronaldo si sta scaldando a bordo campo» -, e fin qui dalla testa fina della Lega te lo potevi pure aspettare, ma soprattutto nella clamorosa e inattesa devozione filiale dimostrata da Salvini, secondo il quale «Draghi è l’unico ad avere il fisico per controbattere a Merkel e Macron». Tutto vero.

Notazione condivisibile, sempre che vivessimo in un paese serio, nel quale le parole hanno un senso, e che non rappresentasse invece il mondo all’incontrario. Ma lo ha detto per davvero? Lo ha detto il leader incontrastato (fino a un mese fa…) del populismo all’italiana, quello capace in pochi anni di portare un partitino sputtanato e moribondo dal 4% fino al 34% (ma ora sei punti in meno…), quello che ha costruito la sua clamorosa ascesa sulla guerra dura, pura e senza quartiere a tutto ciò che tanfava di Europa, classe dirigente, poteri forti, casta, Trilaterale, multinazionali e professoroni per combattere i quali ha impalcato tutta una scenografia, tutta una filosofia, tutta un’allegoria di felpe e canottiere e nutellate e tranci di pizza e sbrendoli di focaccia e giri di bianchi e parole d’ordine tanto virulente quanto efficaci, perché tutta quella risma rinchiusa nei palazzi è lì solo per fregare la gente comune che non ha studiato, ma che sgobba e tira la carretta e lui è come lei e lei è come lui e dirette facebook e tweet incendiari a raffica e comizi dal terrazzo e bla bla bla? E ora, proprio ora, proprio nel momento in cui il gioco si fa duro e i duri iniziano a giocare, nel momento decisivo, viene a invocare i pieni poteri non per lui, che già gli ha portato male l’altra volta, ma per la persona che rappresenta al massimo grado quel mondo che ha sempre osteggiato e schifato e sputacchiato? E che è sempre stato indicato come il male assoluto dell’universo? Ma davvero?

Draghi non è un uomo di potere. Draghi è il potere. Draghi non è un leader delle élite. Draghi è l’élite. Draghi non è un sacerdote della finanza. Draghi è la finanza. Ed è tante altre cose insieme - competenza, studi, relazioni, curriculum - e tutte quante espresse al massimo grado di valore, intelligenza e cinismo ed è quindi, nella visione, se si può definirla, culturale del populismo, il male. Draghi per lui è il male, questa è la verità. E così, infatti, negli anni belli dell’opposizione, quando si gioca a fare i matti, quelli che dicono quello che pensano, quelli ai quali non interessa la poltrona, ma solo il bene degli italiani e tutto il resto delle fregnacce che ci vengono rifilate da tutti, ma da questi qui un po’ di più, Draghi è sempre stato ritratto quale simbolo infame e traditore dell’italiano al servizio degli occhiuti paesi nordici, delle banche, dei tecnocrati padroni di un’Italia serva, servile e asservita che sarebbe stata spazzata via dalla rivoluzione dei popoli e delle genti, nelle quali risiede l’unica vera purezza, l’unica vera trasparenza, l’unica vera giustizia, l’unica vera verità, mica pugnette.

E cosa mai è successo per assistere a questa clamorosa giravolta? Ma davvero la testa dell’odiatissimo e furbissimo Conte vale il rischio, anzi, la certezza di mettersi nelle mani di uno che se arriva mica fa il semplice traghettatore, che altro che Ciampi, altro che Monti, questo viene qui per comandare su tutto e su tutti (a proposito: chi lo ha votato Draghi?), prenotando fin da subito la poltrona del Quirinale? E come mai quelle bocciature imbarazzate di circostanza della Meloni, che almeno lei è una che studia e lavora e tende a farla raramente fuori dal vaso rispetto al suo (per ora) capo di schieramento, che in altri tempi si sarebbe lanciata in uno dei suoi comizi incendiari anticasta? E come mai tutti quei timori e tremori degli altri populisti a cento carati come i 5Stelle, che adesso Draghi meglio di no, ma che solo un mese fa avrebbero esibito Crimi e Toninelli dal balcone e lanciato uno dei loro autorevoli referendum sulla piuattaforma Rousseau contro il golpe fascista dei poteri forti?

È successo che alla fine della faccenda, alla fine di ogni faccenda, tesse chi ha più filo e quando ti arriva tra capo e collo un’emergenza sanitaria del genere e un’emergenza economica cento volte ancora più devastante, vieni a galla tu, quello che sei, quello che vali, quello che hai fatto e studiato e realizzato, non le chiacchiere da cortile, le urlate macchiettistiche, le faziosità impenitenti, le cialtronate via social.

Alla fine, arriva il momento in cui il calcio di rigore decisivo che ti farà vincere o perdere la Champions non lo fai tirare al veneziano che ne gioca bene una su tre e che però chiacchiera tanto nel post partita, ma al Cristiano Ronaldo di turno, appunto.

È successo che siamo sempre lì. Nei momenti di crisi si conferma la legge dura e spietata dell’elitarismo strutturale e ineliminabile della politica, della sua aristocrazia e del bisogno disperato di affidare il bottone della bomba fine di mondo al migliore che c’è sulla piazza. E il concetto di migliore non ha niente a che fare con quello di uno vale uno e tanto meno con quello di popolo. Cerchiamo di ricordacelo, quando saremo tornati a sguazzare nel fango della normalità.

@DiegoMinonzio

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