La paura di Bezos
è come la nostra

Ci sono tanti motivi che spingono a provare una sincera simpatia per uno come Jeff Bezos. Innanzitutto perché a trent’anni suonati non era nessuno e questa è una rarità nell’ambiente dei nuovi fantamiliardari dell’era digitale, generalmente dei ragazzotti brufolosi smanettoni che hanno edificato le loro fortune sul nulla della realtà virtuale. E già questa è una buona ragione per farceli stare sullo stomaco.

Poi, perché ha iniziato a costruire il suo impero vendendo libri per corrispondenza. Avete in mente qualcosa di più vecchio, di più antico, di più stantio rispetto alle magnifiche sorti e progressive del mondo iperconnesso, del metaverso e della Second Life? Non solo, perché partendo proprio dai libri si è poi messo a vendere di tutto, ma davvero di tutto, però sempre cose fisiche, reali, utili alla vita comune, dalle batterie di pentole ai toner delle stampanti, dai materassi al mascara, dai carburatori del Garelli al sale antiscivolo. Insomma, un enorme emporio globale, nel quale chi non ha più tempo per fare la spesa può trovare praticamente tutto quello che gli serve. Infine, perché è un genio che ha cambiato le nostre vite, ma questo ha ben poco a che fare con la simpatia.

Certo, visto che non stiamo parlando di Madre Teresa né di un volontario della San Vincenzo, il modello di business di Amazon, che gli ha permesso di diventare il secondo uomo più ricco della terra, dietro Elon Musk, altro soggetto ai limiti dell’incredibile e ancor più visionario, ha anche tanti lati opachi, se non oscuri, che devono essere sottolineati: il regime fiscale di favore, l’effetto oggettivamente devastante sulla rete del commercio tradizionale, l’ingorgamento di camion e furgoni in ogni strada del mondo eccetera eccetera. Ma come disciplinare l’ondata di piena di questi nuovi colossi è compito degli Stati e delle Unioni, perché se la politica non fissa dei paletti è naturale, per quanto discutibile, che quegli spazi vuoti qualcuno li occupi. Generalmente i più intelligenti, i più svelti, i più spregiudicati.

E proprio una notizia di un paio di giorni fa ha contribuito in maniera definitiva, almeno a parere di chi scrive, a farcelo sentire ancora più vicino, a dispetto dei tanti odi, dei tanti livori e del tanto disprezzo che attorniano la sua figura di vincente assoluto su qualsiasi campo di gioco. Bezos ha infatti stanziato, giusto per iniziare, tre miliardi di dollari per la sua startup Altos Labs, che studia la rigenerazione cellulare e la lotta contro l’invecchiamento. Tanta roba. A questo fine, il “centimiliardario” del Nuovo Messico sta facendo una campagna acquisti degna di quella del Manchester City più quella del Paris Saint Germain più quella del Real Madrid per ingaggiare, con stipendi degni dei calciatori, i migliori scienziati del mondo, i migliori talenti nel campo della genetica, i migliori Nobel delle staminali, con l’obiettivo dichiarato di allungare la vita di cinquant’anni. E da lì - volo di Icaro? - il balzo verso la vita eterna.

Ora, giusto per far vedere che abbiamo letto i classici, sul tema del patto faustiano con Mefistofele e similari c’è tutta una letteratura che parte dall’alba della civiltà e arriva fino ai giorni nostri e, quindi, viene da sorridere a pensare che tocchi a Bezos sbrogliare definitivamente la matassa di uno dei temi cardine dell’esistenza umana e della sua dannazione. Così come fanno sorridere certi suoi atteggiamenti giovanilistici, certi suoi abbigliamenti, che a vederlo spaparanzato a bordo piscina in jeans attillati, camicia damascata, occhiali con lenti a forma di cuore, avvinghiato alla nuova morbosissima fidanzata – l’ex moglie Scott MacKenzie è stata liquidata con 38 miliardi di dollari e chissà come mai ogni volta che la fotografano ride sempre… - sembra nel bel mezzo della classica crisi di mezza età. Quella che spinge anche noi poveri mortali, una volta superata la barriera psicologica, le colonne d’Ercole dei cinquanta a farci la spider decappottabile oppure la Harley-Davidson oppure certe giacche arancioni, certi tatuaggi, certi occhiali con i quali finiamo regolarmente per coprirci di ridicolo di fronte a colleghi, vicini, amici, amanti e, soprattutto, mogli e figli.

Ma il tema è proprio questo. Bezos è come noi. Possiede “solo” svariate caterve di soldi più di noi. Ma è come noi. Proprio come noi. Esattamente come noi. Lui ha paura. Questa è la verità. Visto che è un uomo intelligente, all’alba dei suoi 58 anni ha capito che non saprà mai cosa c’è dietro l’angolo, cosa succede dopo l’ultimo spettacolo e che anche se ha raggiunto una sua sorta di immortalità – Amazon gli sopravviverà di certo - in fondo non gliene importa nulla. Il tempo, con le sue fredde ali, passa e scorre e fluisce e si trascina dietro ogni cosa del mondo e dell’universo, e nulla serve a nulla e nulla può cambiare nulla. La morte non arriva con Prime ed è livida ed è una livella e gioca la sua partita a scacchi sapendo che la partita è truccata e se la ride dei suoi miliardi di miliardi di miliardi. E lui, giustamente, ne ha paura. E allora non può far altro che cercare di allontanarla, se non di sconfiggerla. Dieci anni in più, vent’anni in più, cinquant’anni in più, grazie alle ricerche formidabili dei suoi formidabili scienziati e dei suoi formidabili investimenti.

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