La statura di Draghi
fra trombi e tromboni

Il problema non sono i trombi, ma i tromboni. Mario Draghi potrà piacere o non piacere, farà anche parte della casta, dei poteri forti e dei salotti buoni, firmerà pure politiche di destra camuffandole come fossero di sinistra, ha allestito un governo con dentro (quasi) tutti i partiti anche se alla fine quelli non contano una mazza perché comanda solo lui con i suoi quattro sherpa, ha già commissariato Di Maio, Speranza e tutto il resto della vagonata di ministri e sottosegretari utili come un capezzolo sul gomito, si avvia di certo, in perfetta parabola napoleonica, a diventare presidente della Repubblica e poi monarca e infine imperatore, insomma, avrà tutti i difetti (o le qualità?) del mondo, però, ragazzi, che leader…

Venerdì sera, correggendo un grave errore che stava pregiudicando il successo della campagna vaccinale, ha detto due parole e il caso AstraZeneca è immediatamente finito, spazzando anche via tutta la pletora di dichiarazioni, bofonchiamenti e sbiascicamenti dei nostri statisti digitali e dei nostri virologi televisivi: la seconda dose agli under 60 si fa con Pfizer, ma chi preferisce AstraZeneca è libero di sceglierlo, dietro consulenza medica. Punto.

In quel momento preciso tutto il teatrino penoso, patetico e grottesco di una politica che prende le decisioni non sulla base delle evidenze scientifiche, ma solo e soltanto sull’onda dell’emotività - d’altronde, non siamo il paese della retorica, delle sceneggiate e del melodramma? - causata dalla tragica morte di una diciottenne genovese è stato smantellato. Ed è certo che se Draghi non avesse dovuto districarsi nel ruolo di equilibratore di una maggioranza Brancaleone, non avrebbe mai dato il via libera a una scelta del genere, una sciocchezza comunicativa che ha ingenerato un nuovo caos, che è andato a sovrapporsi al caos già prodotto da mesi di decisioni improvvisate, epidermiche e condite dal combattimento tra galli nel pollaio della scienza mediatica, alla quale non sembra vero esibire il virologo della scuola di pensiero A che si scanna con il virologo della scuola di pensiero B. Nel mezzo, il povero italiano medio, trattato come al solito non come un cittadino pensante e senziente, che vuole vaccinarsi per autodifesa sanitaria e per coscienza civica, ma come un perfetto imbecille al quale si può propinare una verità e il suo esatto contrario nel giro di due giorni.

A un certo punto, dopo la morte della povera Camilla (quattro decessi sospetti su otto milioni di fiale…) la vaccinazione eterologa, cioè il mix di vaccini tra prima e seconda dose, all’improvviso è diventato il Dio in terra, il sacro Graal, la pietra filosofale, la ricetta della vita eterna. E se è così, come mai non lo si è detto prima? E se è così, come mai proporla solo agli under 60? Bisognerebbe farla a tutti, dalle culle alle Rsa. E se è così, come mai due ex direttori generali di Aifa, l’agenzia del farmaco italiana, Luca Pani e Mario Melazzini, come ricordato in un paio di ottimi pezzi de “Il Foglio”, la considerano “una scelta assolutamente irrazionale con solo deboli prove a supporto, con dati ancora non sufficienti per avere un forte valore scientifico”? E se è così, come mai l’Ema, l’agenzia europea dei medicinali, ha detto che “il livello dei dati a sostegno dell’eterologa è limitato”? E se è così, come mai lo stesso Cts, il comitato tecnico scientifico nazionale, governativo per definizione, ha ammesso che “non sono stati pubblicati studi che includono un elevato numero di soggetti”? E se è così, come mai la vaccinazione eterologa va bene nonostante sia stata testata da pochissime persone e AstraZeneca non va bene anche se nella sperimentazione di fase 3 è stata provata su decine e decine di migliaia di soggetti senza alcun evento avverso, che infatti si è manifestato sulla base di milioni e milioni di dosi, esattamente come per tutti gli altri vaccini mai apparsi sulla faccia della terra? Insomma, si abbandona un rischio noto (un caso su un milione nelle seconde dosi del siero di Oxford) per un rischio del tutto ignoto, alla faccia degli strombazzamenti della comunicazione di regime?

Perché poi basta un attimo per fare la figura del pirla e viceversa. Guardate il caso di Boris Johnson. L’anno scorso si è preso dell’imbecille perché aveva negato fino all’ultimo la pericolosità del Covid, finendo in rianimazione e lasciandoci quasi la buccia. Poi è stato considerato il nuovo Churchill quando ha lanciato la vaccinazione a tappeto (a proposito, con il famigerato AstraZeneca…) allungando a tre mesi i richiami e privilegiando il massimo numero di prime dosi a tutti, con risultati oggettivamente straordinari. Adesso, però, stanno tornando a considerarlo un cretino, perché nei novanta giorni tra prima e seconda dose si è infilata l’infida variante indiana e infatti i contagi, visto che solo il 20% degli inglesi ha completato il ciclo, stanno disperatamente aumentando in maniera esponenziale. Ed è matematico che lo stesso succederà anche qui, se non ci sbrighiamo con i richiami.

Ma almeno Johnson ha deciso. Prima gli è andata bene, adesso gli sta andando male. Però ha deciso. E se ne è assunto la responsabilità. Non è stato a cincischiare e a fare il ragazzino e il bimbominkia sui social come i nostri leader di partito da operetta, che non è colpa mia e che è colpa sua e che io l’avevo detto e che bisogna riaprire e che no, anzi, bisogna chiudere, e che io ce l’ho più lungo degli altri.

Anche Draghi ha deciso, ammettendo il pasticcio iniziale. Magari ha fatto bene. Magari ha sbagliato tutto. Vedremo. Ma almeno ci ha messo la faccia. Non esistono vaccini a rischio zero. Basta avere l’onestà intellettuale di dirlo agli italiani, così che sappiano che un trombo, per quanto remotissimo, è sempre dietro l’angolo – una metafora della vita? - e che però possono scegliere loro, supportati da un medico onesto e competente, invece di farsi indottrinare da politici magliari che giocano a dadi con la salute della gente.

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