Letta-Meloni così diversi e così uguali. Agli altri

E se poi, alla fine, Meloni e Letta fossero la stessa identica cosa? E se non ci fosse alcuna differenza tra destra e sinistra? E se tutta la crociata apocalittica e incendiaria contro i servi del complotto demo-pluto-giudaico - un’accusa che fa ridere - così come quella contro i nuovi fascisti in armi - un’accusa che fa ridere - fosse solo paravento, teatrino, cartapesta?

Siamo davvero sicuri che in un paese così fragile, così furbo, diciamoci la verità, così cialtrone come il nostro, esista una difformità radicale tra due storie, due culture, due visioni della politica, della società, del futuro, un po’ come nel mondo anglosassone - roba vera, roba dura - dove chi vince vince, chi perde perde, mentre qui alla fine ci si mette tutti d’accordo? Sotto la superficie facilona delle declamazioni, dei comizi tonitruanti, degli occhi di bragia, delle scomuniche incrociate, dei canali riservati con Mosca e Pechino che più che un disegno eversivo - basta vedere le facce dei protagonisti – ricordano qualche spassosa sequenza di Monicelli, insomma, una cosa non da golpisti, ma da sprovveduti, al netto delle balle spaziali su questo e su quello che tanto in campagna elettorale va tutto bene, dove sarebbe tutta questa distanza tra destra e sinistra?

L’immigrazione clandestina, checché ne trombonino di qua e di là, prosegue con gli stessi ritmi e con gli stessi numeri alla faccia di qualsiasi ministro degli Interni sia in carica, quello che parla a ogni ora del giorno oppure quello che non parla mai, il declino economico del paese procede da decenni alla faccia dei trecento governi (di destra, di sinistra, tecnici, istituzionali, esoterici…) che si sono alternati, di riforma del fisco ognuno si riempie la bocca (quella di Meloni costerebbe 50 miliardi…), ma dopo le elezioni naturalmente non succede mai nulla, e non parliamo del debito pubblico che è dagli anni Ottanta che aumenta con progressione geometrica e tutti se ne fregano, di lotta vera e seria all’evasione fiscale – all’americana, tanto per intenderci, perché negli Stati Uniti, non in Cina, negli Stati Uniti, se evadi ti schiaffano in galera - non ne parla nessuno e chissà come mai e chissà perché, ma è davvero un bel mistero, ma vai a sapere, ma guarda un po’, ma è proprio curioso… Sarà forse perché gli evasori votano, putacaso?

Ma il vero comune denominatore della nostra meravigliosa repubblica delle banane è l’adesione completa, totale, genetica, che va dall’estrema sinistra all’estrema destra, alla cultura del sussidio. Non esiste paese al mondo più sussidiato del nostro, più ristorato del nostro, più ammortizzato e assistito e protetto e derogato del nostro. E qui sono tutti d’accordo, ma propri tutti. Che antagonismo c’è tra Meloni e Letta su questo punto dirimente? E che differenza c’è tra loro e De Mita o Forlani o Andreotti o Berlinguer o Spadolini o Rumor e tutti gli altri che volete voi? Il demagogico reddito di cittadinanza alla 5Stelle - misura legittima e doverosa, se utilizzata in modo coerente - non è la metafora definitiva di quello che siamo?

Noi - e su questo il Covid ci ha dato la mazzata definitiva - non vediamo il sussidio come una misura temporanea per uscire da una situazione di particolare emergenza, ma come la risposta finale a tutti i nostri problemi, il sussidio diventa atto definitivo, corte di cassazione, certezza indiscutibile del nostro reddito, diritto a prescindere, architrave di una cultura di dipendenza dagli altri, dal governo in carica, da uno Stato-mamma che invece di creare le condizioni di sistema che ti aiutino a trovare un lavoro si limita invece a darti per sempre dei soldi a fondo perso così il lavoro non te lo cerchi.

E pure su questo non c’è alcuna discontinuità tra Meloni e Letta. Certo, ognuno protegge le sue categorie di riferimento. Guai a chi tocca i taxisti e i balneari alla destra, ad esempio. Tutto vero. La cosiddetta nuova destra moderna ed evoluta dovrebbe governare un paese moderno ed evoluto avendo come faro i taxisti e i balneari, due categorie ultra protette per le quali le parole mercato ed efficienza sono una bestemmia. E guai a chi tocca gli insegnanti e gli statali alla sinistra, altre due categorie ultra protette per le quali le parole mercato ed efficienza sono una bestemmia al cubo. Ognuno difende le sue categorie di riferimento, ma nessuno pensa in termini complessivi di società.

E naturalmente, e qui siamo al punto decisivo, tutti proteggono i pensionati, tutti, ma proprio tutti, nessuno escluso, dai neotrockisti ai neonazisti, con tanto di proposta elettorale di mille euro di minima (costo 20 miliardi, dove si prendono non si sa..), e poi tutti in pensione, tutti subito in pensione, tutti immediatamente in pensione o in pensione anticipata o in prepensione, tutti ai giardinetti, davanti ai cantieri stradali, a giocare a bocce, tutta una cultura della quiescenza, della senescenza, del lavoro che è una cosa brutta, sporca e cattiva, dello stare a casa a tirar sera, pietra tombale su un paese vecchio, bolso, passivo, stantio, che mangia a sbafo mentre la spesa pubblica, sanitaria, previdenziale e assistenziale esplode e che ormai si è messo in testa - vezzeggiato da destra e sinistra - che ci deve sempre essere qualcuno che lo mantiene, che paga per lui, che gli passa un assegno, una mancia, un’elemosina, perché lui non è in grado di mantenersi da sé. E pure qui, dov’è l’incompatibilità tra Meloni e Letta? In fondo, non sono altro che epigoni di una lunga e triste storia italiana, della piccola Italia nebulosa, amorale, clientelare e lazzarona, dell’Italietta dove tutti si lamentano e poi tutti si fregano a vicenda.

Comodo ululare su fascismo e antifascismo, su sovranismo ed europeismo, su genderfluid e su Dio, patria e famiglia, quando poi, finita la festa, ci si ritrova come sempre tutti lì, con il capello in mano, pronti a piagnucolare sotto le sottane della Nato, di Bruxelles e del banchiere di turno. Aveva ragione quel genio di Gaber…

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