Meloni, Gozzini
e i cattivi “maestri”

E così finirà che gli daranno tre mesi di sospensione. Di squalifica, per usare il gergo sportivo. Ma prima di commentare se sono tanti o pochi, come se si trattasse di un Lukaku o di un Ibrahimović qualsiasi, ricordiamoci che si tratta di Giovanni Gozzini. E dunque di un insegnante.

La vicenda è nota, tanto che, quasi, non val la pena di ricapitolarla. Nel corso di una trasmissione radiofonica il professor Gozzini, storico e ordinario all’Università di Siena, ha rivolto a Giorgia Meloni, deputato e segretario di Fratelli d’Italia, violenti insulti tra cui “vacca” e “scrofa”.

A parte l’incompatibilità zoologica, e pur prendendo atto delle successive scuse, si capisce come tale atteggiamento sia inaccettabile: lo condanneremmo provenisse da un camallo, figuriamoci da un insegnante.

Il punto sta proprio qui: Gozzini è un insegnante. O meglio, lo era: ci sia infatti permesso di affermare che per noi, sul nostro personalissimo cartellino direbbe Rino Tommasi, Gozzini come professore è finito, kaputt, bye bye. Lui e quell’altro campione, di opposto schieramento, che risponde al nome di Marco Gervasoni, ordinario di Storia contemporanea dell’Università del Molise, il quale dopo aver twittato, sotto la foto di Elly Schlein, vicepresidente della Regione Emilia Romagna, la frase “Ma che è, n’omo?”, è stato capace di indignarsi per le contumelie del collega: “Mi vergogno di appartenere alla categoria dei professori universitari di Storia contemporanea”. Ma vergognatevi tutti e due, esimi professori, separatamente e in coppia perché la politica che vi divide è solo il mascheramento di ciò che nel profondo vi unisce. Un qualcosa che, volessimo descriverlo, dovremmo prendere in prestito parte del vostro vocabolario e – giammai! - della vostra mentalità.

Tanto più che il problema, a giudicare dai resoconti dei giornali e dai successivi commenti, pare stia tutto in una certa mancanza di prontezza nell’esprimere solidarietà all’avversario politico quando questi viene insultato. La sinistra, in particolare, è accusata di doppiopesismo e ipocrisia ma anche la destra, è stato fatto notare, non è che corra a consolare il “nemico” quando qualcuno, verbalmente, gli fa la bua. Le reciproche accuse di doppiezza non sono infondate ma destano comunque perplessità: si ravvivano ogni volta che come se d’un tratto scoprissimo con grande stupore di essere un Paese afflitto da partigianeria. Un malanno, al contrario, cronico dai tempi dei Guelfi e dei Ghibellini e forse anche da prima, tanto incistato nelle nostre fibre che, al mattino, ci è spesso indispensabile per accendere il pensiero, per far partire il software dei nostri ragionamenti i quali, in mancanza di un oggetto d’odio e disprezzo, girerebbero per buona parte del tempo a vuoto.

Colpa, tra l’altro, di un’insufficiente educazione al pensiero libero e indipendente. E qui, come si dice, casca l’asino che, per una volta, non è l’allievo ma il docente. Perché se è a certi insegnanti che affidiamo la didattica allora tutto è destinato, come direbbe appunto Gozzini, ad andare in vacca e anche peggio.

In anni di scuola più o meno profittevole – nel caso di chi scrive certamente più meno che più – abbiamo imparato che anche i professori sono esseri umani, hanno limiti, tic, umori e risentimenti, magari dovuti al fatto che la loro importanza non è quasi mai riconosciuta come si dovrebbe. Ma pur se qualche volta somiglianti a certi modelli grotteschi – come quelli portati sullo schermo da Fellini nella strepitosa parata scolastica di “Amarcord” -, restavano e restano in gran parte veri insegnanti, consci del loro ruolo: mai, per modestia, ma anche nel rispetto dello spirito della loro professione, si sognerebbero di andare alla radio a dare della “scrofa” a una donna. Alcuni di loro si non sognerebbero di andare alla radio, punto.

Vorremmo ricordare che la qualifica di “maestro” non si dà storicamente solo agli insegnanti “di mestiere”, ma anche a chi, con l’esempio e l’esperienza, rappresenta un modello per i più giovani. Modello non equivale a monolite privo di imperfezioni, ma piuttosto a qualcuno che riesce ad assomigliare alla materia che insegna, o meglio ancora alla sintesi intellettuale della materia che insegna: dalla Storia, crogiolo nefasto ma illuminante, ci si aspetterebbe che chi la studia tragga un poco di discernimento personale, di misura, di rispetto. Al contrario, essa diventa fonte di riferimenti i quali, scelti perbenino in virtù di una faziosità che spesso rasenta l’assoluto, vengono utilizzati come proiettili da scagliare contro chi la pensa diversamente e soprattutto come pavonesco piumaggio per quanti, afflitti da ego di dimensioni superiori alla cattedra, credono di far colpo presentando ai microfoni qualche altisonante titolo accademico accompagnato da un linguaggio da cloaca.

Quindi, per noi, professore mai più, né tra qualche mese né tra un secolo: personaggi da mollare, questi, se vogliamo salvare la categoria. Insegnava Socrate, insegnava Gesù, insegnava Seneca e insegna Gozzini. Qualche problema, a un certo punto, c’è stato: per fortuna non ci vuole uno storico per capirlo.

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