Quel Papa che ha cambiato la storia

È stato il Papa che si è dimesso, ma non con il “gran rifiuto” di Celestino. Le dimissioni di Benedetto XVI sono state il frutto di una decisione approfondita, sofferta, ma decisa e cruciale. Quando venne eletto alla fine del lungo pontificato di Karol Wojtyla il mondo gli cucì subito addosso un abito falso, persona intransigente, freddo cardinale tedesco, intellettuale rigorista, rigido nel richiamo all’osservanza della legge e della morale quasi ostaggio dell’antimodernità. Ma nessuno lo conosceva bene e aveva letto con occhi e mente libera da pregiudizi gli scritti di questo intellettuale che ha attraversato il Novecento con un pensiero sulla fede e su Dio, mai scontato e sempre appassionato, soprattutto mai banale. Ha costretto tutti da teologo, da prefetto della Congregazione della dottrina della fede e poi da Papa, alla riflessione sui significati di Dio e sulla sua Parola. Quando si dimise il mondo fu colpito insieme dalla fragilità dell’uomo e finalmente dalla grandezza del Pontefice. Erano 11,46 del mattino del 11 febbraio 2013.

Un dispaccio dell’Ansa, firmato da Giovanna Chirri che era come ogni giorno nella Sala Stampa della Santa Sede e aveva capito prima degli altri quelle frasi in latino, ha percorso il mondo in un baleno. L’Ansa per brevità e perché la parola è altamente evocativa e drammatica aveva scritto che il Papa si è dimesso, che lo ha annunciato lui stesso in latino parlando ai cardinali e ha fissato anche l’inizio della sede vacante il 28 febbraio. Era un’imprecisione, perché un Papa non si dimette, ma rinuncia al pontificato.

Benedetto XVI è stato il 265.mo pontefice e sarebbe stato il primo a rinunciare e a stabilire data e orario della sede vacante. Neppure con il gran rifiuto di Celestino V nel Duecento si può paragonare la decisione di Ratzinger. Il suo breve pontificato, a paragone dei 27 anni di Karol Wojtyla, è stato un contrappunto di passioni e di incomprensioni. Ratzinger è stato di volta in volta arruolato dai teocon e da chi voleva una Chiesa identitaria, conservatrice, chiusa al dialogo, che distribuiva patenti del buon cattolico e manrovesci della tradizione. A Ratzinger il peggior servizio durante il pontificato lo hanno fatto i ratzingeriani, in Italia con maggior vigore e dimostrazioni di verbosità muscolare, e all’estero con minor audacia.

Ma dopo che Joseph Ratzinger si è ritirato in Vaticano anche i ratzingeriani sono stati sbaragliati, anche se non del tutto come dimostra l’ultima polemica sugli “appunti” su Sessantotto e pedofilia, dalla grandezza di un uomo che tutti ha soverchiato per umiltà e coraggio. Benedetto XVI è stato incalzato dagli scandali e li ha affrontati con grande determinazione. Non è stato aiutato da tutti e non ha evitato di farlo notare. La lettera ai vescovi dopo il caso Williamson, il vescovo lefebvriano negazionista a cui Ratzinger aveva rimesso la scomunica, e quella agli irlandesi nel cuore della bufera sugli abusi sessuali da parte del clero, hanno fatto conoscere al mondo un uomo, un teologo e un Papa che certamente spiegava e argomentava, ma in modo del tutto inconsueto per un Papa, almeno fino ad allora.

Si potrebbe dire che Joseph Ratzinger con il suo gesto ha cambiato la storia. Ma forse l’espressione più giusta è che ha dato una forma nuova, alla storia della Chiesa e dunque alla percezione del papato. Ha radicalmente cambiato lo status del romano Pontefice. Non sappiamo in realtà come abbia maturato la decisione e le cose che si sono scritte e lette in questi anni non gettano una luce definitiva sulla questione. Sicuramente la meditava da tempo e aveva offerto segnali di quella meditazione.

Ma qualcosa deve aver fatto scattare in lui una decisione: non tanto quella di lasciare, ma quella di avviare la riflessione che avrebbe portato alla decisione. Karol Wojtyla subito dopo il Giubileo del Duemila aveva discusso più volte delle dimissioni proprio con Ratzinger. E l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della Chiesa era arrivato alla conclusione di sconsigliare Giovanni Paolo II. Ma qualcosa poi è cambiato nella riflessione del teologo. Potrebbe aver pesato il calvario di Wojtyla, potrebbero aver avuto un ruolo gli scandali e il rapporto segreto sulla Curia, che poi ha trasmesso a Papa Francesco. Ma se fosse solo questo la sua decisione sarebbe quella di uno sconfitto. Ratzinger è stato descritto come imputato e al tempo stesso vittima del sistema.

Un buon modo per dimenticare frettolosamente quel pontificato, perché non si sono viste assunzioni di responsabilità da parte di nessuno sulle questioni cruciali della crisi della Chiesa. Si sono sdoganati solo dubbi e incertezze, invece di avviare una riflessione profonda sulla scelta limpida, coraggiosa e profetica di Benedetto XVI. Molti in Curia hanno tirato un sospiro di sollievo dopo l’iniziale smarrimento. Tutte le colpe, tutte le responsabilità potevano essere attribuite ad un uomo solo, che ha deciso di prendere su di sé la croce. Per gli altri, tutti gli altri, dentro e fuori la Curia, nei circoli che contano del potere ecclesiastico, tutto sarebbe rimasto come prima. La cosa più importante era dimenticare in fretta Ratzinger con parole d’affetto e abbracci e dedicarsi al grande gioco del Conclave. Sappiamo come è andata a finire. L’elemento della sorpresa segna l’ 11 febbraio, memoria dei Patti Lateranensi, ma forse ancor di più in futuro sarà quel giorno ricordato come memoria delle dimissioni di Benedetto. La sorpresa resta per un gesto umile, scivolato via in una riunione di routine dei cardinali, tipico di un uomo che ha sempre fatto dell’antiretorica lo strumento per smuovere coscienze, inchiodare riflessioni cruciali, con un linguaggio rigoroso, dove conta la forza delle argomentazioni più che l’emozione della sintassi.

La sua opera teologica, il suo racconto di Gesù di Nazareth, i discorsi e i suoi atti di governo, primi fra tutti quelli nella lotta agli abusi sessuali, le sue riflessioni mai snaturate in chiacchiere, delineano il carisma di un uomo che continuerà nelle analisi posteriori a sfuggire ad ogni semplificazione, comprese quelle sul suo pontificato. Fu un successo o un fallimento? Lui stesso interrogato dal giornalista tedesco suo amico Peter Seewald dopo la rinuncia se si riteneva la fine del vecchio o l’inizio del nuovo, rispose: “Entrambi”.

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