Se como fosse tutta casa e “Officina”

“E qui comando io, e questa è casa mia. E ogni dì voglio sapere chi viene e chi va”. Con l’aver detto “Il Comune è casa mia, il sindaco di Como, Alessandro Rapinese, ha rispolverato la Gigliola Cinquetti che aveva l’età. Come sempre di fronte alle uscite provocatorie del primo cittadino, all’opposizione sono usciti i fumi del naso, ma poi? Vero, nelle principali forze del centrodestra e del centrosinistra comasco il momento non è facile. Ma così è difficile vedere uno sbocco da qui a fine mandato.

Di solito, quando la dialettica interna all’amministrazione comunale, si riduce allo scambio di battute a grado variabile di acidità significa che manca una visione. E non c’è nessuno che possa fornirla, né alla maggioranza che peraltro dovrebbe dimostrare di non averne bisogno, e neppure all’opposizione che invece dovrebbe riuscire a lanciare il guanto di sfida a sindaco e giunta con proposte idee se non vuole fare la fine dei pifferi di montagna anche al prossimo.

C’è qualcosa che è venuto a mancare a Como, un pensatoio oltretutto bipartisan che aveva elaborato spunti e idee per la città, anche se ignorate. Si chiamava “Officina” ed era nata per opera meritoria di Paolo De Santis, imprenditore ed ex presidente della Camera di Commercio e assessore, oltre che “convitato di pietra” ad ogni elezione per il primo cittadino. Dopo l’avvento di Rapinese a palazzo Cernezzi, “Officine” ha chiuso i battenti, anche se qualcuno al suo interno, non è stato d’accordo su questa decisione.

E verrebbe da dire che è un peccato, anche di fronte all’annuncio del sindaco sui mille parcheggi se saranno realizzato nell’ex Ticosa. C’erano anche nel progetto elaborato dal “think tank” lariano, che però prevedeva anche altro: un polo di attività per giovani e coppie attraverso l’housing sociale. Qualcosa che ha a che fare con il nostro futuro. L’amministrazione, guidata all’epoca da Mario Landriscina, non prese neppure in considerazione la proposta, per rifugiarsi in fretta e furia nel grottesco tentativo di trasferire il municipio nell’area dismessa. Chissà se magari Rapinese sia disposto a valutare la compatibilità della proposta con la sua. In ogni caso, non sarebbe male se qualcuno della minoranza lo incalzasse sul tema.

Erano quattro i punti focali in cui incardinare il futuro di Como secondo “Officine”. Oltre a via Grandi, anche lo stadio Sinigaglia, il Politeama e il San Martino. Per quanto riguarda il teatro, ora acquisito dall’amministrazione, occorre evitare una deriva modello Ticosa. Sul campo che ospita il Calcio Como si rischia di perpetuare la maledizione che vede una società interessata a intervenire (e una con le risorse di questa non ci sarà mai) e dall’altra parte il Comune in attesa che, in attesa di definire la situazione abdica al suo naturale ruolo: quello di chi deve indicare un obiettivo e un percorso da condividere con il soggetto che dovrà poi perseguirlo e percorrerlo.

Il San Martino è un’altra area strategica che attende un segnale per poter essere fruita nel modo corretto e rispettoso da uno strato più ampio possibile della cittadinanza e, soprattutto, di trovare riparo da appetiti speculativi mai del tutto sopiti. Anche in quel caso “Officine” ha offerto una proposta che quantomeno può rappresentare una base di discussione, al di là della complessità visti i tanti soggetti in campo sul polmone verde. Insomma se “Officine” tirasse su ancora la saracinesca e magari il primo cittadino valutasse l’idea di varcarne la soglia senza pregiudizi e pre concetti da nessuna parte potrebbe nascere qualcosa di utile e proficuo per una città che attende una “visione”. Una città tutta casa (il Comune, il più possibile convidiso) e “Officina”.

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