

Quando ha lanciato le sue proposte, con ogni probabilità, il ministro Validitara sapeva già in che ginepraio sarebbe finito. Primo perché qualunque spillo spostato in un ambiente conservatore (dal punto di vista culturale) come la scuola, impermeabile a ogni riforma, fa il rumore di una pianta secolare che si schianta al suolo. E poi perché mettere in dubbio un caposaldo come l’uguaglianza risveglia nei sindacati le sopite pulsioni barricadere. Infatti è subito partita la Cgil contro le scuole per i ricchi e poi a ruota, Elly Schlein, candidata alle primarie per la segreteria del Pd. Seguirà il gruppo. Ma cos’ha mai detto il ministro all’Istruzione e non solo (ci arriveremo più avanti)? Che la scuola avrebbe bisogno di finanziamenti dei privati e che gli insegnanti che vivono nelle zone dove la vita è cara dovrebbero essere pagati di più. Apriti cielo: “No alle scuole per i ricchi” , è stato lo slogan subito partorito senza alcun travaglio.
Il ministro ha in parte ragione. Per quanto riguarda il problema economico, è noto come il sistema educativo statale lambisca la canna del gas. Chi ha figli che anche frequentano le scuole dell’obbligo, garantite gratuite dalla Costituzione, si trova di fronte a ricorrenti richieste di contributi volontari per il materiale didattico e altre esigenze. L’idea di coinvolgere i soggetti privati potrebbe valere un bel voto, ma se non chiarisce come (e non è facile), lambisce a malapena la sufficienza. Al di là delle forme di mecenatismo, che per fortuna non mancano nel nostro Paese, ci sarebbe sempre chi applica la formula del “do ut des”. Senza contare che se non si prevede un meccanismo perequativo che peraltro sembra presente nell’idea del ministro, si rischia davvero la scuola per i ricchi e quella per i poveri. Ma, la domanda, ci saranno persone disposte a dare soldi senza sapere dove vanno a finire? E quanto questo potrebbe condizionare il sistema? Insomma non è facile.
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