Trump non svanisce
tra paillettes e ipocrisia

La faccenda più o meno funziona così. Se il direttore di un giornale di destra, uno di quelli brutti, sporchi e cattivi, oltre che ignoranti, beceri, corrotti e intrallazzoni, si permette - sbagliando - di dare del tu a una giornalista molto glamour e molto à la page durante un talk show televisivo della sera, apriti cielo, parte subito la messa cantata dello sdegno collettivo nazionale: maschilista, sessista, machista, razzista, golpista, fascista, nazista! E indignazione, indignazione, indignazione, una continua, verbosa e sempiterna indignazione, che se a un certo punto non arrivano i reparti speciali il poveretto ce lo troviamo appeso su per i piedi a piazzale Loreto. Tutto vero.

Se invece un grande inviato-editorialista americano, ma che più italiano di così non si può, durante un altrettanto popolare talk show della mattina, commentando l’uscita di Trump dalla Casa Bianca, dà papale papale della mignotta a sua moglie Melania è tutto un circo di sorrisi e faccette e boccucce a culo di gallina e, insomma, ci tocca dissociarci, ma che birbante che è questo grande inviato-editorialista e che marachella ci ha combinato pure stavolta ed è davvero incorreggibile e non si fa e, insomma, certo che quello lì con il parrucchino da Little Tony non lo si può proprio guardare e che burino e che cafone rivestito e che pericolo pubblico ci siamo tolti dai piedi e poi, insomma, anche quella là che faceva la modella, che è un mondo che sappiamo bene come funziona, e via così, sciamando tutti insieme garruli e leggiadri verso il bar commentando la gonna deliziosa e la voce portentosa di Lady Gaga. Tutto vero pure questo.

Cosa c’è che non va in questa vicenda? Cosa c’è che non funziona? E perché una storiella di così minuscolo squallore può invece rivelarsi altamente pedagogica? Ora, a parte il solito fariseismo imperante nel mondo della comunicazione, che proprio non riesce a impostare un’analisi dei fatti storici che esca dai binari stabiliti dal pensiero unico conformista, la cosa più grave e pericolosa è immaginarsi la realtà per quella che desideriamo e non per quella che è. Non c’è alcun dubbio che Trump sia stato un presidente pessimo, soprattutto per il completo disprezzo delle regole del gioco stabilite dalla costituzione e per un astuto quanto rovinoso gioco demagogico di abilissima tattica, ma di inesistente strategia - sulla politica economica, invece, bisognerà parlarne… - però se i nuovi padroni del vapore, non solo americano, pensano davvero di liquidare quel quadriennio come un caso, come una parentesi, come l’ennesima invasione degli Hyksos, riesumando la clamorosa cantonata che prese Benedetto Croce nella sua analisi del fascismo, grave quasi quanto quella che lo portò a stroncare le poesie di Leopardi – e stiamo parlando di un gigante come Croce, non di un qualche analfabeta di ritorno che produce la politica dei nostri giorni – commetterebbe il più deleterio degli errori.

Ma davvero pensiamo che, come si è visto nella tanto emozionante quanto pomposa giornata di inaugurazione della presidenza Biden, basti buttare sul tavolo da gioco una star italo-americana, un’altra latino-americana, più una poetessa rapper afro-americana più una sottosegretaria transgender più una vicepresidente giamaico-indo-americana e tutta la glassa e lo zucchero caramellato della correttezza politica e culturale di quelli che sanno stare a tavola e mangiano con la forchetta e il coltello per rimettere assieme i cocci di una democrazia che ha visto non più di un paio di settimane fa l’invasione del Campidoglio da parte di una masnada di buffoni armati e violenti? Davvero crediamo che quei settanta milioni che hanno votato Trump, alla faccia sua, del suo stile, del suo profilo da furbissimo bancarottiere, siano settanta milioni, nessuno escluso, di imbecilli, di analfabeti, di zulù? Davvero crediamo che una volta rimossi, cancellati e tumulati il Puzzone e la sua Zoccola tornerà tutto come prima e la nostra vita si dipanerà tra un picnic, un’anacreontica e un ruscello di latte e miele?

Quanto non abbiamo capito niente, noi intelligentoni dei media e noi cervelloni del pensiero unico conformista, quando predicavamo tutti tronfi e rubizzi che dietro all’Impresentabile, al Grande Corruttore, al Peggio del Peggio - Silvio Berlusconi - c’erano solo mafiosi, ladri, depravati, puttanieri e tutto il resto che è stato detto e scritto, e non invece, ed era questa la verità, anche un’Italia che, piacesse o no, esisteva ed esiste tutt’oggi e che è emersa da una frattura formidabile dell’assetto politico, sociale ed economico degli anni Novanta. Le cose non avvengono mai per caso. Berlusconi era il figlio del crollo della prima repubblica e della tracimazione del potere giudiziario e non ha preso tutti quei voti per un quarto di secolo grazie a un golpe, ma perché ha rappresentato qualcosa di vivo e profondo. Allo stesso modo, Trump è il prodotto di otto anni di presidenza molto glamour ma - diciamoci la verità - alla fine piuttosto deludente di Obama e nessuno ha il diritto di affermare che i 74 milioni di voti per Biden siano “meglio” dei 70 per Trump e che questi ultimi non abbiano più diritto di cittadinanza.

Aver sfrattato - per fortuna - The Donald avrà un senso solo se saranno analizzate in modo laico e acuto le ragioni della crisi dell’uomo bianco abbandonato dalle élite e devastato dalla globalizzazione e lavorare lì, proprio lì, per farlo rientrare in un alveo democratico e soprattutto liberale che è l’unico possibile, se uno vuole vivere fuori dalla giungla e dalla savana. Se invece dovesse partire la solita campagna moralista e moralisticheggiante, ma ormai è tardi, è già partita, che a vedere certi servizi sulle virtù cardinali della nuova amministrazione democratica c’è da andare di corsa dal dentista - ogni riga una zaffata di melassa, ogni aggettivo una carie ai molari - sarà meglio prepararci subito per una nuova ondata di arruffapopoli e masanielli. Altro che il Covid.

@DiegoMinonzio

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