Voto: il Pd prealpino e la destra pigliatutto

Dalle Ztl alle Prealpi, il passo è breve. Il voto dei ballottaggi per le elezioni comunali di domenica e lunedì scorsi ci consegna una nuova geografia della sinistra, oltre alla debacle del Pd targato Schlein.

Con la conquista di Vicenza, è nato un asse “prealpino” che da Varese a Padova (con l’eccezione di Como) vede primi cittadini espressione del Nazareno. Lecco, Bergamo, Brescia, Verona, Vicenza e la città di Sant’Antonio hanno visto negli ultimi anni l’elezione di sindaci del Pd, quasi, se non tutti, di profilo riformista: il che, con l’avvento della nuova segreteria, rappresenta una contraddizione che peserà non poco negli equilibri del partito. La sconfitta di domenica, peraltro, rischia di renderli ancora più fragili e di ridare voce al coro sguaiato delle correnti che, piano piano, si sono portati via tutti i predecessori di Elly.

Ma sarebbe ingrato attribuire il brutto risultato dei ballottaggi solo alla segretaria, insediata solo da due mesi, pur nell’incertezza che sembra far trapelare alla guida di un partito tutt’altro che facile da condurre. Perché il vento di destra che ha gonfiato le vele dei candidati sindaci appartenenti all’area di governo, sta soffiando un po’ in tutta Europa. Ne vedremo, con ogni probabilità, gli effetti anche alle elezioni continentali del 2024 che difficilmente porteranno alla conferma della maggioranza “Ursula” (dal nome della presidente della Commissione europea von der Layen e composta da partiti conservatori e progressisti, e anche da un pezzo degli euroscettici più moderati).

La sinistra, non solo italiana, è perciò attesa da una lunga traversata nel deserto, in cui non sarebbe male avviare una riflessione su quale deve essere la linea politica da proporre e soprattutto se ne può esistere una. A oggi il Pd appare ancora in parte (vedi la guerra in Ucraina e il termovalorizzatore di Roma) sulle posizioni della segreteria Letta, mentre Schlein ha lasciato l’impronta per lo più sulle tematiche sociali. Se si pensava, in questo modo, di poter drenare un elettorato multiforme, l’idea non ha funzionato. Se invece, com’è probabile, la neo segretaria si trova costretta a una continua mediazione con un gruppo dirigente che, in buona parte, le preferiva Stefano Bonaccini, il problema è più profondo. Difficile capire come uscirne, perché le sconfitte non aiutano le leadership anche se in rodaggio. Resta poi il nodo delle alleanze. Quasi tutti i sindaci di centrosinistra premiati dal voto avevano stretto intese con il Terzo polo. Buona parte di quelli sconfitti, invece, stavano assieme ai Cinque Stelle, usciti ancora più deboli dalle urne, anche se le amministrative non sono un terreno favorevole per Conte & C., che pure, in precedenza, qualche sindaco lo avevano portato a casa. Ed Elly sembra non riuscire neppure a tenere il passo mediatico della sua naturale avversaria, il premier Giorgia Meloni che è la vera vincitrice di questa tornata amministrativa, assieme a Matteo Salvini che, da quando si è messo a fare il ministro e limita gli sfondoni al minimo sindacale, mantiene la Lega in linea di galleggiamento. Le divisioni non mancano nel centrodestra, ed emergeranno in maniera eclatante quando entrerà nel vivo la partita delle riforme, ma almeno ogni volta che si riesce a votare, la coalizione riesce a restare compatta. Non è secondaria, in questo senso, la vittoria nell’ex roccaforte rossa di Ancona, dove i leader nazionali avevano deciso l’azzardo di andare a chiudere assieme la campagna elettorale.

Alla fine questo voto non ha cambiato più tanto gli equilibri politici di un paese che resta di fatto diviso in due: quasi tutti coloro che hanno vinto lo hanno fatto per una manciata di voti. Ma il centrodestra ha giocato meglio la partita, favorito certo anche dalle condizioni ambientali. E forse, per la prima volta, nei ballottaggi, sono stati più gli elettori di centrosinistra che hanno scelto di andare al mare.

© RIPRODUZIONE RISERVATA