Caos scuola: la politica
scarica sui presidi

Riparte la scuola in presenza e non so cosa mettermi. Non ci si crede. A pochi giorni dal ritorno in aula al 100 o al 75% nelle superiori, le Regioni, e la Lombardia non fa eccezioni, si scoprono del tutto impreparate e colte di sorpresa dall’annuncio di Mario Draghi, tutt’altro che improvviso.

E i trasporti? E le aule, signora mia? E il distanziamento? Già, perché in fondo il problema è in giro solo da un anno e un mese, il tempo in cui in altre parti del mondo costruiscono cattedrali, ospedali e stadi.

Ma noi non riusciamo neppure a mettere lì qualche autobus o treno in più per evitare assembramenti dei ragazzi o intervenire dove serve sull’edilizia scolastica. Il fatto che Mario Draghi la prima volta in cui, dopo l’ascesa alla presidenza del Consiglio, abbia fatto sentire qual è il suo timbro di voce agli italiani dicendo che la riapertura delle scuole in presenza era la priorità assoluta, sembra sia sfuggito a tutti. Oppure, in tutto questo fervore messianico che avvolge il capo del governo, si è immaginato che sarebbe bastata la sua parola a sistemare tutto, come per il vecchio confetto Falqui, di cui invece si sono solo avuti gli effetti. E chi ha buona memoria e qualche anno sulle spalle sa quali sono.

Se l’ex ministro all’Istruzione Lucia Azzolina appariva ogni giorno per prendersi la sua razione di uova marce, ortaggi andati male e gatti morti, del successore, Patrizio Bianchi, si sono perse le tracce dopo la sortita, mal gliene incolse, delle lezioni a giugno con scontata levata di scudi dei sindacati. Certo, la prima si ritrova nella parte bassa della lavagna anche per la scempiaggine dei banchi a rotelle.

Per il trasporto pubblico locale il governo ha messo a disposizione 700 milioni, certo non una cifra da far pensare che la faccenda sia considerata la priorità delle priorità, ma sempre qualcosa. Cosa è stato fatto di questi soldi, non è dato a sapere. Non si possono acquistare nuovi mezzi? Ci sono quelli turistici e militari, inutilizzati e con le gomme a terra, che non chiedono altro che tornare in azione.

E per fortuna che per trascorrere tutto questo tempo senza far nulla, i politici hanno potuto godere del conforto delle loro dichiarazioni sull’importanza di riportare tutti gli studenti in classe. Chi ha pratica di archivi potrà con facilità metterle assieme tutte, ma basta un po’ di memoria neppure da Pico Della Mirandola per richiamarle alla mente.

Poi, tra uno spritz virtuale (i bar sono of limits) e l’altro, non è mancato il tempo per commentare turbati e partecipi gli allarmi, gli studi e le ricerche sui problemi psicologici che il prolungarsi della didattica a distanza stanno provocando nei bambini e negli adolescenti. Tanto basta affettare qualche slogan ad effetto, e voilà: il gioco è fatto e i sondaggi si gonfiano. Pazienza se il ministro che ha creato, con una riforma, le classi sovraffollate, “pollaio” le hanno chiamate, sieda anche in questo governo. Adesso però ha un’altra delega, perciò non tocca a lei preoccuparsi.

Siamo arrivati al redde rationem del tutto impreparati, anche dal punto di vista sanitario. Molti insegnanti e componenti del personale scolastico sono in attesa della seconda dose del vaccino e dei famosi test di massa per gli studenti è rimasta solo l’idea.

E allora anziché andare a nascondersi per la vergogna, i politici praticano l’arte dello scaricabarile che a loro piace tanto: a destra come a sinistra. E consegnano la patata bollenti ai presidi: si arrangino loro che in fondo sono pagati per quello. I poveri capi d’istituto fanno ciò che possono con il materiale che le istituzioni concedono loro, cioè poco e niente, e sono pure tacciati di non voler ripartire per non essere costretti a lavorare. Come sempre si guarda il dito e non la luna. La verità è che la scuola, prima o durante la pandemia, non è mai stata considerata una priorità per la politica. Alla fine i voti degli insegnanti si sa dove vanno a finire e sono poco liquidi rispetto a quelli di altri blocchi sociali. Perché allora darsi da fare? In fondo lì si gioca solo il futuro. Il nostro però, perché il loro, quello dei politici, se lo sono garantiti con quei vitalizi che ogni volta vengono fatti uscire dalla porta per rientrare dalla finestra.

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