Funivia: la strage
e la fiducia tradita

Sono morti, i quattordici della funivia del Mottarone, per colpa di un freno d’emergenza messo volontariamente in condizione di non funzionare tramite l’inserimento di un “forchettone”.

Di solito, tale “forchettone” lo si inserisce durante i collaudi per verificare il funzionamento dell’impianto senza interruzioni dovute a interventi d’emergenza. I responsabili del Mottarone lo hanno invece lasciato anche durante il servizio regolare per “evitare blocchi e disservizi”. La funivia aveva manifestato qualche problema e il servizio di manutenzione non aveva “risolto il problema” o lo aveva “risolto solo in parte”.

Che cosa si fa, secondo logica, quando, nell’anno 2021, un mezzo di trasporto nelle cui cabine le persone viaggiano sospese a decine di metri dal suolo presenta problemi “non risolti o risolti solo in parte”? Si ferma tutto? Niente affatto: si disattiva il dispositivo d’emergenza e si continua a staccar biglietti sperando che tutto vada bene. E invece è andato tutto male.

Sarà un processo a stabilire la verità (giudiziaria) e a definire le responsabilità penali dei tre arrestati – il proprietario della società che gestisce l’impianto, il direttore e il capo operativo del servizio – ma se le cose sono andate come nella ricostruzione appena riportata (che corrisponde alle ammissioni dei tre), qualunque sarà il verdetto del tribunale per noi si tratta di “tradimento”.

Il mondo in cui viviamo si basa i sulla fiducia. Saliamo su un aereo nella fiducia che il pilota, un signore o una signora in galloni, sappia fare bene il suo mestiere, così come dovrebbero averlo saputo fare gli ingegneri che hanno progettato l’apparecchio, gli operai che ne hanno assemblato i pezzi e gli addetti alla manutenzione. Con la stessa fiducia ci affidiamo al chirurgo che sta per asportarci l’appendice e all’impresa edile che ha eretto il palazzo in cui viviamo. E una fiducia che spargiamo quotidianamente e senza neppure pensarci, e dunque appare ovvia. Si tratta invece di uno straordinario sforzo collettivo di partecipazione e di abbandono all’altro. Lo motiva il bisogno, ma non solo: anche la convinzione di aver necessità del prossimo e che il miglior modo per dimostrarlo è mettere in atto scambi reciprocamente convenienti. Questo si fa attraverso il lavoro, ed ecco dunque che il lavoro è il più importante collante sociale.

Perdonerete, speriamo, il fervorino e la sua banalità. Crediamo però che giovi ripetersi questi fatti per comprendere a fondo la gravità del comportamento di chi era responsabile della sicurezza della funivia. Davanti a quattordici morti, l’istinto ci porta subito all’indignazione e alla condanna, perfino al disprezzo, ma è con l’enunciazione del tradimento di un essenziale meccanismo sociale che comprendiamo fino in fondo la portata delle responsabilità in gioco.

Per tutti, e dunque anche per i piloti, i medici e i gestori di funivie, conta molto l’aspetto economico del lavoro e in tutti i settori si ricorre a risparmi, scorciatoie e trucchi vari per far quadrare i conti. L’epidemia ha messo tanta parte dell’economia davanti a conti in rosso e ci sarà da faticare per rimettersi in piedi. Ma alla fine, sulla bilancia, è inteso che debba prevalere il peso del valore della vita umana. Non sempre è così, lo sappiamo: troppe volte infatti sentiamo parlare di speculazioni, sofisticazioni, rifiuti pericolosi smaltiti alla carlona o in modo da alimentare interessi criminali. Anche questi sono tradimenti, e gravissimi. Quello del Mottarone, se il quadro uscito in queste ore sarà confermato, differisce forse per l’evidenza anche simbolica dell’inganno: ogni biglietto staccato (e banconota incassata) rappresenta una vita letteralmente appesa a un filo, messa nelle mani di un altro essere umano. Che pensava a contare biglietti mentre a noi ora tocca contare i morti.

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