Governo: l’Epifania
anche Conte si porta via?

È la rivincita dell’Epifania. Finora è stata la festa più bistrattata perché si portava via tutte le altre. L’anno prossimo, il giorno che celebra la prima manifestazione di Cristo, quello in cui, nel presepe si portano i Re Magi vicino alla capanna, potrebbe diventare quello più atteso e bello. Colpa anche qui del Covid che ha imposto Natale e Capodanno blindati ma che, negli auspici di tutti, forse, ora del 6 gennaio sarà meno diffuso. E perciò, più o meno il giorno dopo, potrebbero riaprirsi, anche in Italia, gli impianti di sci e tutte le scuole con qualche limitazione. Nel provvedimento illustrato da Conte l’altra sera, quella della Befana sarà anche l’ultima giornata, con il divieto di spostamento tra i Comuni.

Insomma si potrà festeggiare, se tutto andrà come deve. E forse lo faranno anche i tanti avversari del premier, esterni e interni alla sua maggioranza, perché l’Epifania potrebbe portarsi via pure il presidente del Consiglio. La politica di questi tempi è un minestrone che, a furia di rimestarlo, rischia di andare a male. Dentro c’è di tutto: gli errori commessi nell’estate che hanno fatto ripartire i contagi, le polveriere accese dentro i Cinque Stelle e Forza Italia, alcune uscite che chiamare infelici sarebbe un eufemismo da parte dei leader dell’opposizione, il Pd diviso (l’unica certezza di questi tempi), le accuse di dittatura sanitaria, la dialettica stonata tra il governo e le Regioni, le ambizioni di coloro che spingono per il rimpasto, quelli che si agitano sempre in fondo al gruppo per ritrovare la visibilità perduta (ogni riferimento a uno dei due Mattei dalla politica non è puramente casuale). E poi il Mes: la goccia in grado di far traboccare la pentola del minestrone. La riforma del Meccanismo europeo di stabilità che prevede l’erogazione di un fondo salva Stati con rigorose condizioni sul suo utilizzo e non solo, è lì, a Bruxelles, che aspetta il sì dell’Italia. Altrimenti rischia di saltare ancora una volta. Sul tema si discute da mesi con posizioni che sono mutate nel tempo, a partire da quella più che mai ambigua di Conte, e che ora vedono, dopo una retromarcia di Berlusconi, le opposizioni compatte sulla contrarietà, così come una parte dei Cinque Stelle, che sul “no” hanno ritrovato la leadership di Beppe Grillo, e del Pd anche su questo (ça va sans dire) diviso. Adesso però è il momento di venirne a una e accadrà mercoledì 9, giorno di San Siro, quando in Senato dovrebbe giocarsi la partita decisiva. Conte sa che se vuol continuare nella permanenza a palazzo Chigi deve uscire da questo ginepraio il meno ammaccato possibile. Dalla sua parte, ha ancora una volta, il virus che, finché determinerà una situazione di emergenza, renderà impossibile un cambio alla guida del governo. Ma poi, dopo il 6 gennaio appunto, se le cose migliorassero, tutto sarebbe possibile. Da giorni girano ipotesi di Mario Draghi, ex numero uno della Bce e di Marta Cartabia ex presidente della Corte Costituzionale per scalzare “Giuseppi” dalla poltrona senza interrompere la legislatura. Del resto, l’insofferenza verso il premier da parte dei partner di una coalizione che, va detto, senza Covid sarebbe già saltata in aria da un pezzo, continua a crescere. Allora un’eventuale bocciatura del Mes diventerebbe il detonatore per far saltare tutto. Va detto che lo spauracchio è quello di peggiorare i rapporti con l’Europa che forse poi solo Draghi riuscirebbe ricucire. E questa è una delle carte che Conte potrebbe giocarsi con il soccorso di Forza Italia. Se i senatori azzurri, al momento del voto, uscissero dall’aula, potrebbero compensare le annunciate defezioni pentastellate.

Comunque vada a finire è certo che questo governo avrà bisogno di una messa a punto. La coalizione sembra aver esaurito da un pezzo la spinta propulsiva dell’anti salvinismo che l’ha portata a costituirsi e ad andare avanti. Quando finalmente il virus sarà debellato del tutto, il Paese si troverà di fronte a scelte importanti e difficili per tentare di far ripartire l’economia e salvare il quadro sociale. Ad affrontarle non può più essere una squadra divisa, rancorosa e in parte inadeguata.

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