L’emergenza dimenticata
sotto il sole dell’estate

Diceva quel tale che se un giorno il buon Dio, stanco, stufo ed esasperato dalla stoltizia, dalla nequizia, dalla meschinità e dalle infinite delusioni provocategli dagli esseri umani decidesse di precipitarli all’inferno per mille e mille anni, lasciandoli rosolare tra le fiamme dell’Ade, dove verrebbero presi a forconate dai demoni e fustigati dai diavoli e seviziati da Asmodeo e Astarotte in persona al fine di fargli purgare i loro peccati, i loro delitti e i loro tradimenti, una volta riemersi da quel supplizio succederebbe una cosa incredibile.

Una cosa davvero incredibile. La più incredibile delle cose che si possano mai immaginare. Loro, noi, gli esseri umani, riprenderebbero a fare le stesse cose di prima. Le stesse cose. Le stesse identiche cose. Né più né meno. Le stesse cose. La lezione non sarebbe servita a niente, ma a niente davvero, e il buon Dio - lo stesso che, in una spassosa e profondissima storiella ebraica, al ventesimo tentativo di creare l’universo con tutte le sue stelle, i suoi pianeti, le sue galassie aveva detto “speriamo che stavolta regga…” – beh, quel buon Dio non avrebbe altro da fare che rassegnarsi. Lui è un Signore davvero potente, oltre che saggio e amorevole, ma non così tanto da poter cambiare la natura degli uomini che, belli gonfi, satolli, ottusi e paciarotti, andrebbero avanti a grufolare, a trafficare, a brigare e a trescare per tutta la vita, per tutta l’esistenza, per tutta l’eternità.

Ed aveva proprio ragione quel tale a pensarla così. Perché è così per davvero. Ne abbiamo avuto la prova in questi giorni di benedetto calo dei contagi, dei ricoverati e dei morti causa Covid e di contemporaneo procedere delle vaccinazioni, mentre si avverte nell’aria quella sensazione palpabile di fine guerra, di uscita dal tunnel, di risveglio dall’incubo che spinge tutti quanti a riprendere, a rinascere, a ripartire, a dimenticare. Anzi, a rimuovere. Ecco, soprattutto a rimuovere. C’è qualcosa di atavico, di genetico, nel meccanismo grazie al quale superiamo tutto, dimentichiamo tutto, cancelliamo tutto.

Basta un attimo e la cosa più importante del mondo, per la quale saremmo disposti a sacrificare qualsiasi altra cosa, all’improvviso diventa affare ordinario, pratica quotidiana, micragnosa rottura di scatole da evitare a ogni costo.

Ma insomma, fino a poche settimane fa, non anni, non mesi, fino a pochi giorni fa eravamo tutti scandalizzati e infoiati e assatanati per la lentezza della campagna vaccinale e dateci i vaccini e muovetevi con i vaccini e sbrigatevi con i vaccini e proteggete i fragili e proteggete i cronici e proteggete gli ottantenni e i settantenni e sessantenni e le classi produttive e i giovani e i bambini e vergogna e giocate con la vita della gente e assumete i medici e moltiplicate gli infermieri e aprite le farmacie e non c’era priorità nell’universo più urgente e impellente e dirimente dell’avere la benedetta dose di vaccino e accelera qui e salta la fila là e prendi la scorciatoia e la mia è una categoria in prima linea e lei non sa chi sono io e mi manda Picone e tutto il resto delle poliformi piacevolezze all’italiana di cui andiamo tanto fieri. E adesso, d’incanto, è tutto finito.

E’ bastato qualche piccolo giorno di crollo dei dati, di emergenza conclusa, di liberi tutti e la vexata quaestio della dose del vaccino, della sacrosanta dose del vaccino, della improcrastinabile dose del vaccino è già passata in cavalleria. Ma sì, il vaccino è una cosa importante, figurarsi, e dobbiamo mettere tutti in sicurezza, e ci mancherebbe, e dobbiamo svuotare gli ospedali, non scherziamo, ma insomma, io devo andare in vacanza a Cesenatico, non è che posso saltare il richiamo? Ma dovete proprio rovinarci le ferie? Ma non si potevano organizzare le inoculazioni in modo che le seconde non finissero proprio ad agosto? Ma come si fa? Ma è una vergogna! Ma è una cosa inaccettabile! E lo Stato padrone e la dittatura sanitaria e la casta e le multinazionali e i salotti e le terrazze e lorsignori e la gente non ne può più e lo Stato dove? Tutto vero. Si vede in giro gente che fino a dieci giorni fa era pronta a vendersi un rene pure di sniffarsi una mezza porzione di Astrazeneca scaduto che ora al solo pensiero della data del richiamo si nasconde sulle montagne dei partigiani. Richiamo chi?

E visto che è una polemica che sta esplodendo in maniera incontrollabile e diffusissima, e senza distinzione di fasce sociali, economiche o culturali, a un certo punto verrebbe quasi da pensare che siamo proprio un popolo di imbecilli, di bipolari, di analfabeti funzionali.

E invece non è così. O almeno non è proprio così. La questione è più profonda. Più sottile. Più inquietante. La verità è che la tragedia, qualsiasi tragedia, anche la più devastante, come quella che abbiamo vissuto e che stiamo ancora vivendo – 120mila morti, ci rendiamo conto? – ci interessa fino a quando ne siamo dentro mani e piedi e solo e soltanto se ci colpisce in prima persona. Altrimenti, appena un centimetro fuori dalla mischia e appena un secondo dopo la fine, la tragedia non esiste più, non diventa memoria condivisa, evento nodale, terribile pedagogia, ma solo rottame vintage da scaricare nella spazzatura, da rifilare nella cantina delle cose smesse. La tragedia non esiste più.

E’ la vita che riprende il suo corso, si dice così, vero? Certo, è anche questo, ma è soprattutto la natura degli uomini, la nostra natura, la nostra vera e insondabile natura che riafferma la sua identità, il suo patrimonio genetico che ci protegge dal peso insostenibile del male, l’unico vero incontrastato padrone dell’universo. Nessuno può caricarsi tutto il male del mondo sulle spalle, è un compito troppo nobile, troppo gravoso, troppo insopportabile, troppo disumano. Appena dà l’impressione di mollare per un secondo la presa, immediatamente noi facciamo finta che non esista e cerchiamo di goderci disperatamente l’attimo. Abbiamo voglia di mare. Al Pfizer penseremo domani…

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