Ma non avevamo
abolito gli esperti?

E la disintermediazione? E l’uno vale uno? E tutti sanno tutto, possono fare tutto, possono parlare di tutto? E l’eden digitale che realizza la democrazia in terra, nella quale ogni uomo può abbeverarsi alla fonte dell’eterna conoscenza, dell’eterna sapienza, dell’eterna continenza e, quindi, decidere in assoluta autonomia e purezza, finalmente liberato dalla catena delle gerarchie, delle caste, dei biechi interessi, dei poteri occulti? E, soprattutto, liberato dai professoroni, dai baroni, dagli espertoni, dai cervelloni che si permettevano di dirci - inaudito! - cosa fare, dove andare, come comportarci?

Che stagione ridicola. Anni di demagogia stracciona, di cialtronate circensi sulla perfezione della gente e sulla sua innata saggezza e sapienza e temperanza, di complottismi da fiaschetteria, di dietrologie da bocciofila, dell’ignoranza crassa elevata a status symbol, perché chi studia e sa e conosce era diventato all’improvviso un cretino in generale e un servo dei poteri forti nello specifico. Tutto un pattume marcescente, soprattutto digitale, ovvio, sul quale alcuni giganti della politica - e del giornalismo - dei tempi nuovi hanno costruito carriere sfolgoranti, alla faccia dei congiuntivi, delle licenze medie e della più plateale incompetenza.

E poi, invece, al primo scontro con la realtà, è venuto giù tutto. Ora, se c’è un aspetto positivo nell’emergenza, anzi, ormai nella vera e propria psicosi da Coronavirus, è proprio questo: fino a ieri il cosiddetto esperto era un imbecille, adesso lo si agogna come fosse la pietra filosofale. Non c’è giornale, televisione, radio, sito e social che non vada a caccia del luminare, dell’accademico, del barone, del virologo professore tal dei tali, docente qui e lì, insignito di questo e quello, responsabile di quello e di quell’altro. E non basta mai. Se lavora in Italia, ne serve uno che lavori a Parigi. Se lavora a Parigi, forse meglio uno che lavori a Houston e possibilmente nel laboratorio più avanzato del mondo. Insomma, un genio della materia che da quel pulpito possa - a noi che fino a ieri giocavamo ai fenomeni autodidatti - rassicurarci, istruirci, insegnarci, ammaestrarci. E per fortuna che è così, finalmente.

La scienza non è democratica, diceva qualcuno in tempi non sospetti. E aveva ragione. E neanche la cultura, l’istruzione, la competenza. O ce l’hai o non ce l’hai. E se non ce l’hai, te la fai. Altrimenti stai zitto e impari. E studi e leggi e ti aggiorni e fai fatica e soffri sulle sudate carte e sappi che ci metti anni e anni, una vita intera in molti casi, non è che ti basti un tutorial del tuo influencer preferito. E ti aggiorni e ti consulti e ti metti in discussione. Altrimenti continui a startene zitto. E a tacere e a mettere giù il crapone, cercando di avere, se non l’intelligenza, almeno l’umiltà di capire che l’analfabetismo - quello di andata, quello di ritorno, quello funzionale - non è mai una bella cosa. È sempre una pessima cosa. E per capire, adesso che sei lì che tremi e ti struggi e ti rinchiudi in casa e sbarri le finestre e ti metti in quarantena e maledici i cinesi e i pipistrelli e gli involtini primavera - segno che pure stavolta non ci hai capito una mazza -, che chi predica che le competenze non servono perché è tutto un complotto della Trilaterale non è uno che sta dalla parte del popolo, ma uno che il popolo lo prende per i fondelli, con l’unico fine di portarlo in giro con l’anello al naso. E che se vuole fare per davvero la guerra al padrone, è obbligato a sapere una parola in più di lui, come diceva giustamente, sempre in tempi non sospetti, quello là. E deve affrancarsi dall’ignoranza, dalla sudditanza, dalla cultura dell’alibi, dal benaltrismo, dal vittimismo, dal piagnonismo e soprattutto dall’apoteosi del cialtronismo, riassunta dall’immortale aforisma “e lo Stato dov’è”?

Guardiamoci come siamo penosi e risibili e grotteschi - che è poi la vera radice degli esseri umani - nella disperata ricerca di certezze sull’incubo del contagio planetario che sterminerà il mondo. E come ci attacchiamo al parere dell’esperto quasi fossero le sottane della mamma, dopo aver passato anni a straparlare e pontificare e avvinazzare sui vaccini che ingrassavano le multinazionali e che non bisognava più iniettarli ai bimbi perché li facevano diventare tutti autistici - ce la ricordiamo la sapida stagione dei “no vax”, vero? - che è poi della stessa pasta dell’altro formidabile epigramma che al ministero dell’economia basta mettere una casalinga che tiene bene i conti di casa, visto che è la stessa cosa. Perché anche questo (anche questo!) è stato detto tra gli applausi del popolo bue. Che è la stessa cosa di far pilotare un aereo a un salatore di aringhe, che è la stessa cosa di far preparare una Sachertorte a un esperto di fisica quantistica, che è la stessa cosa di far costruire un viadotto a un professore di filologia romanza, che è la stessa cosa di far scrivere un editoriale a un analfabeta (ma forse questo non è il migliore degli esempi…) e bla bla bla.

Sapere è potere. Non sapere è consegnarsi mani e piedi agli altri. Sapere è affidarsi a chi conosce le cose e su quella sapienza ha costruito la propria professione. Non sapere è condannarsi ai sentito dire, ai luoghi comuni, alle banalità, ai gatti e alle volpi di cui è da sempre popolato il mondo degli uomini e dei pinocchi. Sapere è cogliere il significato degli schiaffoni della realtà effettuale. E quindi per cortesia, senza fare gli isterici e i bambini dell’asilo Mariuccia, perché qui nessuno ne ha più l’età, su questo benedetto Coronavirus vediamo di chiedere ai medici professionisti, di informarci su fonti autorevoli e diseguire le indicazioni - semplicissime, tra l’altro - per stare più tranquilli.

E comunque stiamo sereni. Anche questa volta non arriverà la fine del mondo. In attesa che il contagio faccia il suo corso, evitiamo almeno di renderci ridicoli davanti ai nostri figli. Un po’ di dignità, e che cazzo.

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