Basket: sani e salvi
Il ricordo di una svolta

Un anno dopo riviviamo con i protagonisti una giornata fondamentale nella storia della Pallacanestro Cantù «Alle 17 ci eravamo mandati al diavolo con Gerasimenko, alle 18.30 l’ok del russo alla cessione di club e palazzo»

«Alle 17 di quel benedetto 18 febbraio di un anno fa, al telefono nell’ufficio del notaio Manfredi ero sbottato nei confronti di Dmitry comunicandogli non solo che non c’erano più margini per proseguire la trattativa ma che non l’avrei mai più voluto sentire. Mi aveva fatto passare notti intere in collegamento skype, facendomi perdere solo del gran tempo. Come quella volta che mi aveva risposto di essere fuori con il cane e che mi avrebbe dato retta di lì a un quarto d’ora. Quattro ore più tardi, invece, ancora nulla. E un paio di volte c’eravamo già mandati a quel paese. Stava facendo un “gioco” che non aveva nulla di lineare. E ogni volta era come ripartire da capo.Nell’ennesima circostanza in cui mi sono sentito preso in giro, ho detto basta. Erano, appunto, le 17 del 18 febbraio 2019».

La confidenza è quella di Antonio Munafò, l’uomo in quel momento individuato come il più qualificato («ha spessore, personalità e soprattutto una gran pazienza» dice oggi di lui Davide Marson) dalla cordata canturina per intrattenere rapporti con patron Gerasimenko.

Di lì a nemmeno un paio d’ore più tardi, la Pallacanestro Cantù avrebbe invece effettivamente cambiato proprietà. «Munafò era veramente allo stremo - ricorda Andrea Mauri - e così una mezzora più tardi sono stato io a prendere l’iniziativa, facendomi vivo con Dmitry. Dopo essermi consultato con il notaio e aver cambiato qualche parola nell’atto di vendita l’ho risottoposto al russo lasciandogli intendere che si era cambiato parecchio. In verità, si era modificato qualcosa soltanto nella forma, presentando gli articoli in una versione diversa, mentre il contenuto era rimasto lo stesso. In pratica lo stavamo portando là dove volevamo noi sin dall’inizio. In aggiunta, fotografai gli assegni circolari destinati al pagamento girandogli le immagini. Ebbene, alle 18.30 fu lui a richiamarci per darci l’ok. Da non credere». Cantù stava dunque per tornare italiana.

«Ci prendeva alla gola»

È stato quello il vostro “25 Aprile”, chiediamo allo stesso Mauri? «In un certo senso sì, anche se non scordo che se oggi siamo ancora qui è perché nelle stagioni precedenti ci è stato permesso anche da Gerasimenko. Dopodiché, aggiungo, si è trattato contestualmente anche di un inferno. La situazione non era più sostenibile poiché oltre all’aspetto gestionale che non aveva più alcun criterio, anche gli investimenti erano via via sempre più scemati con l’acuirsi dei suoi problemi economici con l’acciaieria Red October».

Mauri entra più nel dettaglio. «La trattativa, da parte nostra, verteva sul fatto di acquisire la proprietà dell’immobile (il palasport Pianella, ndr) al fine di poterci finanziare e di poter proseguire l’attività in serie A, non tanto per essere in grado di essere solvibili nei suoi confronti. Sapevamo che Marson era pronto a sostenere l’operazione Pianella - anche se a Dmitry aveva sempre detto che da lui direttamente non l’avrebbe mai acquistato e questo suo diniego ha contribuito a tener viva la nostra di trattativa - e che Antonio Biella si sarebbe esposto firmando un contratto triennale. Che sarebbe stata la garanzia che Gerasimenko reclamava, anche se poi lui tirava per le lunghe perché sapeva che a breve ci sarebbero stati i controlli della Comtec e dunque ci prendeva alla gola. Non superarli avrebbe infatti verosimilmente significato la nostra estinzione».

Invece, tutto è bene quel che finisce bene... «È improvvisamente tornato utile quel famoso progetto triennale che avevamo nel frattempo studiato con Angelo Zomegnan - fa presente Mauri -, anche se per essere realmente indipendenti da subito avremmo avuto bisogno ancora di un anno. Per fortuna che il paracadute avevamo almeno iniziato a prepararlo un paio di mesi prima».

Dopodiché, ecco irrompere prepotentemente sulla scena “Tutti Insieme Cantù”, la compagine di azionariato popolare che ha ritirato la “Pianella srl” da Gerasimenko portando a casa sia la Pallacanestro Cantù sia il nuovo palazzetto. Ad apporre la firma sul contratto, il presidente di Tic, Angelo Passeri.

«Una proprietà diffusa»

«Noi eravamo il soggetto giuridico designato e deputato oltre che già pronto a farsi carico ufficialmente dell’operazione - spiega - e non nascondo che al momento di firmare mi sia reso effettivamente conto della responsabilità che stavo per assumermi. In realtà, tuttavia, i veri protagonisti sono stati altri, da Davide Marson ad Antonio Biella in primis perché noi non avevamo assolutamente le disponibilità economiche per farvi fronte. In prospettiva ci piacerebbe conservare la maggioranza azionaria della Pallacanestro Cantù, quale simbolo d’appartenenza alla canturinità, anche se questa non costituisce certo la nostra priorità».

«Arrivare a identificare un soggetto fisico che abbia ora la maggioranza della Pallacanestro Cantù è praticamente impossibile - la chiosa apposta da Mauri -anche perché Tic detiene ancora il 90% che è ripartito su 300 soci. Chiaro che per andare avanti bisognerà adeguare la struttura con una precisa organizzazione e fisionomia. Un passo fondamentale».

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