La sfida dei genitori di Francesco, morto in un incidente sull’A4: «Dovremo trovare la forza di alzarci»

Carugo Lo strazio di mamma Ada e di papà Carmelo Polito per la morte del figlio di 24 anni. «L’ho visto all’obitorio: l’unica certezza che vorrei avere dall’autopsia è che non abbia sofferto»

Il sorriso sul viso stretto nell’abbraccio del papà, la foto di lui nel suo primo kimono e, ancora, l’attestato di cintura nera di jujitsu incorniciato in un quadretto appeso alla parete dello studio ricavato in casa dal padre Carmelo. Anche i muri dell’appartamento della famiglia Polito parlano del figlio Francesco, il ragazzo di Carugo, per cui si sono rivelate fatali le conseguenze dell’incidente avvenuto lunedì, lungo la A4 Milano Torino. Perché i suoi occhi si sono chiusi sul mondo poco prima dell’uscita di viale Certosa, nel tamponamento del camion che lo precedeva, all’età di 24 anni.

Il ricordo dei genitori

«Stava tornando da una giornata di lavoro a Torino quando ha avuto l’incidente» ricorda la mamma Ada che, nel pomeriggio di lunedì, ha mandato l’ultimo messaggio al figlio. «Gli ho scritto prima sul cellulare privato, poi quello aziendale, ma non arrivava mai la spunta della lettura. Mi sono seduta sulla sedia e, proprio in quel momento, il citofono ha squillato». Dall’altra parte c’erano i Carabinieri che hanno pescato da tutto il loro bagaglio di umanità le parole per comunicare una notizia che mai nessuno vorrebbe sentire.

«Ho rivisto mio figlio all’obitorio: l’unica cosa che vorrei sapere dall’autopsia è la certezza che lui non abbia sofferto» aggiunge papà Carmelo che ricorda le ore necessarie a estrarre il figlio dall’abitacolo del suo furgoncino che si è accartocciato sul cofano nell’impatto.

«Sto iniziando a realizzare che Francesco non c’è più perché non sento chiudersi la porta di casa quando rientra da una serata con gli amici» ammette la mamma, insieme al marito, costretta a confrontarsi con un dolore che sfida anche la ragione. Tocca allora alle parole restituire la realtà. Quella di un “gigante”, coi suoi quasi due metri d’altezza, che amava uscire coi suoi amici e viaggiare con loro, tanto che aveva visitato Tenerife, Amsterdam, ancora Sofia, Venezia e Verona.

«E amava il suo lavoro (nell’ambito dell’informatica, Ndr) perché gli permetteva di progettare senza rimanere seduto su una sedia: aveva avuto grandi soddisfazioni» prosegue il papà che non nasconde l’orgoglio per i risultati del figlio la cui assenza è solo fisica. Perché Francesco è nei pensieri, nei ricordi di tutta la famiglia che sfoglia gli album fotografici che raccontano le tappe della sua vita per immagini.

Il dolore

Partendo da quando era nel pancione della mamma, chiamato France’, «così che poteva essere Francesco o Francesca» spiega il papà, passando per la sua nascita, fino a quando ha regalato ai suoi genitori la parola “mamma e papà”. Ancora, l’iscrizione a jujitsu, la comunione e la cresima, poi le foto si diradano via via crescendo con l’età. «Gli avevamo preso un appartamentino a Giussano, la settimana prossima sarebbero arrivati gli infissi» spiega Carmelo.

«Ora dobbiamo trovare un’altra motivazione per alzarci la mattina e andare a lavorare perché può essere che un giorno mi sveglio e decido solo di girarmi sull’altro lato».

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