
(Foto di archivio)
Clan in Brianza La Cassazione azzera la sentenza della Corte d’appello e le rinvia gli atti. Non viene riconosciuto il primo capo di accusa. Così il processo di secondo grado è da rifare
Nuovo colpo di scena, questa volta in Cassazione, nel processo nato dall’inchiesta chiamata “Gaia” che aveva ipotizzato la presenza della ’ndrangheta dietro le minacce e i pestaggi che avvenivano nei locali da ballo della Brianza, tra il Canturino, l’Erbese ma anche la città di Como. Angherie che avevano il fine ultimo di mettere le mani sulla gestione della sicurezza privata, sostanzialmente la gestione dei buttafuori.
Come se fossimo in una stonata partita di tennis, con la pallina a passare da una parte all’altra della rete, l’accusa relativa appunto alla malavita organizzata di stampo calabrese, che in origine era stata imputata a quattro soggetti – tre dei quali residenti nel Comasco – in primo grado non era stata riconosciuta dai giudici, mentre in Appello era stata sancita ma solo a tre imputati.
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