Sant’Anna, il feto morì prima del parto. Il giudice: «Servono altre indagini»

L’inchiesta La tragedia avvenne nel mese di luglio, respinta la richiesta di archiviazione. Il Gip chiede di approfondire gli aspetti relativi ai tempi di attesa cui la madre fu sottoposta

Il caso non è affatto chiuso. Il giudice delle indagini preliminari Walter Lietti, con un atto notificato in queste ore alle parti, non ha accolto l’istanza di archiviazione che era stata avanzata dalla procura in merito ad un fascicolo sempre rimasto a carico di ignoti, nato in seguito ad un dramma avvenuto all’ospedale Sant’Anna - nel reparto di Ostetricia del nosocomio cittadino - lo scorso mese di luglio. Una vicenda complessa che era stata portata alla ribalta da una denuncia fatta ai carabinieri della tenenza di Mariano Comense dal padre di una bambina che avrebbe dovuto nascere ma che non venne mai alla luce, morta prima che il parto avesse luogo.

La decisione

La procura – ricevuta relazione dell’anatomopatologo del Sant’Anna – aveva valutato l’assenza di responsabilità per quell’esito drammatico, chiedendo dunque l’archiviazione. Il gip – dopo una udienza fissata per discutere l’opposizione che era stata presentata dal legale della famiglia, l’avvocato Mario Cicchetti - si era riservato di decidere. Una riserva che, dallo scorso 7 dicembre è stata sciolta ora, dopo Natale, ma in modo netto: secondo il magistrato infatti la «richiesta di archiviazione è assolutamente prematura poiché non è stata adeguatamente indagata e approfondita una lunga serie di fatti».

Tutti i nodi da valutare

Ed è proprio il gip, nel sottolineare l’auspicio per l’affidamento dell’incarico ad un consulente e nel disporre ulteriori sei mesi di indagini, a chiedere di verificare l’eventuale «esistenza di segnali di allarme che avrebbero dovuto indurre a maggiore diligenza o assiduità nel monitoraggio della bambina», ma anche di indagare la prassi relativa ai tempi di attesa all’interno del Sant’Anna in merito soprattutto «all’induzione del parto dopo la rottura delle membrane», verificando pure la «compatibilità di tali prassi con le direttive della comunità scientifica». Il riferimento del giudice è al «superamento delle 24 ore dal momento della rottura delle membrane» proprio come avvenuto nel caso finito in Tribunale, visto che di ore ne passarono – come hanno evidenziato i consulenti della famiglia - «35, nonostante la signora avesse sottoscritto un consenso informato all’induzione del parto il giorno stesso del ricovero» ovvero due giorni prima della tragedia.

Secondo il gip, in conclusione, bisogna verificare – una volta individuata la causa di morte della piccola – se su questa «abbia inciso un comportamento colposo del personale sanitario» proprio in relazione alla presunta «inerzia ad indurre il parto» trascorse le già citate 24 ore. Il dramma avvenne alle 6.30 della mattina dell’11 luglio di quest’anno. La mamma, che non era alla prima gravidanza, 41 anni residente ad Arosio, era arrivata al pronto soccorso dell’ospedale con le acque rotte e dopo essere giunta al termine.

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