Uccise il nonno a coltellate, ora è stato trovato morto in carcere. La parola allo zio: «Quell’omicidio è una ferita ancora aperto, ma molti silenzi sulla morte di Luca»

Vighizzolo Parla il figlio del bidello ucciso, che è anche zio del giovane che lo ha accoltellato. «Eravamo i parenti più stretti, eppure abbiamo saputo la notizia da soltanto da internet»

«La morte di mio padre è una ferita che rimane, sempre aperta. E quando riprendi in mano le carte del processo, tutto ritorna ancora con più forza».

Fatica a trovare pace Paolo Volpe, il figlio di Giovanni Volpe: il bidello in pensione ucciso cinque anni fa, a 78 anni, dal nipote.

Paolo Volpe è anche lo zio di Luca Volpe: il reo confesso dell’omicidio, trovato morto domenica mattina, a 31 anni, in una cella di isolamento nel carcere di Valle Armea, a Sanremo. «Ci si sente abbandonati dalla giustizia - dice Volpe - trovo assurdo che nessuno mi abbia almeno informato subito, dal carcere o da chi di competenza, di questa morte».

L’amarezza

«Un silenzio sperimentato già altre volte: non abbiamo mai infatti saputo del trasferimento in altre carceri», dice. Qualcosa che, per Volpe, in parte per principio, in parte anche per, dice, sicurezza, doveva essere un atto dovuto. E questo, a prescindere dal fatto che, in cinque anni dall’omicidio, lui non ha voluto mai fare visita al nipote che ha ucciso suo padre.

Sono le 20 di lunedì sera. Volpe è al tavolo della sala con la moglie. La morte di Luca Volpe è avvenuta domenica mattina alle 11.

In quasi due giorni, nessuna telefonata o comunicazione ufficiale. «Assurdo - dice - Mia moglie ha ricevuto una telefonata lunedì mattina da una persona che aveva visto un articolo pubblicato su Internet».

«Cosa è successo in carcere?»

«Ma non esiste una procedura per avvisare? Sono il parente più prossimo rimasto. Nemmeno sapevamo fosse a Sanremo, dopo Pavia e Monza. In mezzo, abbiamo saputo, anche Torino. E poi Sanremo. Magari fra qualche anno, in una qualsiasi città d’Italia, con lui in permesso, avremmo potuto anche incontrarlo per strada. Chissà intanto se sapremo mai cosa è successo esattamente, in carcere».

Una situazione davvero complessa anche dal punto di vista emotivo. Da una parte, un papà ucciso dopo che aveva accolto nella sua casa di via Monte Palanzone Luca Volpe, rimasto orfano di madre - la sorella di Paolo Volpe, Laura, era morta pochi mesi prima dell’omicidio -, che aveva rimbrottato il nipote dopo averlo sorpreso mentre assumeva cocaina: la lite era degenerata nell’assassinio a coltellate. Dall’altra: un nipote omicida. «Posso sentirmi libero di non andare in carcere per le visite - prosegue Paolo Volpe - ma credo di avere il diritto di essere informato sui trasferimenti o sulla morte. Poi posso anche continuare a comportarmi per mia scelta. Ma qualcuno doveva dire qualcosa».

Altro aspetto: l’esito dell’Appello. Come ha affermato l’allora difensore di Luca Volpe, l’avvocato Andrea Bertucci, ha visto una rideterminazione della pena di non poco conto, rispetto al processo di primo grado in Tribunale a Como: si è scesi da 30 a 16 anni di reclusione, in virtù del riconoscimento delle attenuanti generiche. Vero: in virtù di un accordo stragiudiziale tra le parti, era stata revocata la costituzione di parte civile. Comunque: «Apprendiamo ora che la pena è stata quasi dimezzata. Avremmo avuto il diritto di sapere anche questo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA