«Sant’anna, 300 in cura
ecco cosa sappiamo
(e cosa no) sul virus»

Intervista a Luigi Pusterla , primario del reparto di Malattie infettive all’ospedale di San Fermo della Battaglia

Facciamo il punto sull’epidemia, su quello che i medici hanno compreso del virus e sugli strumenti per combatterlo, dai tamponi ai test sul sangue fino all’auspicato vaccino. Le risposte sono del primario di Malattie infettive del Sant’Anna, Luigi Pusterla.

Che cosa sappiamo, oggi, di questo virus? Quali sono le caratteristiche che lo differenziano da quelli circolanti finora?

Il Covid-19 è un beta-coronavirus molto simile a quello della Sars, che nell’epidemia del 2003 presentava una letalità del 34% e una capacità di contagio intorno a due casi ogni persona infetta. Questo Covid-19 ha una capacità di contagiare nettamente superiore con indice di replicazione che diversi studi hanno riportato con valori fino a otto, probabilmente legati anche alla carica virale e ai pazienti asintomatici o con lievi sintomi. La letalità è intorno al 5% ma la percentuale sale in maniera significativa nei casi di pazienti con più patologie. Sarebbe necessario capire quanti muoiono “per” il coronavirus e quanti muoiono “con” il coronavirus.

Come si trasmette?

La trasmissione nella maggior parte dei casi avviene attraverso le goccioline che vengono generate dal tratto respiratorio del paziente infetto ed espulse con la tosse e gli starnuti a distanze brevi (inferiori a un metro), mentre meno frequente è la trasmissione attraverso contatto diretto o indiretto con oggetti o superfici nelle vicinanze dei soggetti infetti che siano contaminati con le loro secrezioni ad esempio le mani contaminate che toccano naso, bocca e occhi.

Quali sono i sintomi tipici e quelli che, sebbene più rari, devono comunque mettere in allerta?

I sintomi tipici della malattia sono: nel 99% dei casi febbre, astenia nel 70%, tosse secca nel 60%, anoressia 40%, dolori muscolari 35%, dispnea 30%, alterazione del gusto e dell’olfatto nel 30% e tosse produttiva nel 25% dei casi. In una minoranza di casi sono stati riportati anche sintomi gastro-intestinali in particolare diarrea. Come sintomi più specifici l’associazione di febbre, astenia e tosse stizzosa, in questi casi è importante attuare l’auto isolamento.

Quali sono le conseguenze sull’organismo, nella maggior parte dei casi?

Nella stragrande maggioranza dei casi vi è una guarigione completa. Ancora troppo presto per parlare di eventuali conseguenze croniche soprattutto a livello polmonare quale ad esempio una fibrosi polmonare residua nei pazienti che hanno avuto una grave forma polmonare.

Si è compreso per quale motivo in alcuni soggetti i sintomi sono lievi e in altri invece sono gravi e financo mortali?

Dipende anche dalla durata dell’esposizione?

Questa è una domanda che ci poniamo di continuo e probabilmente il tutto è riconducibile alla risposta immunitaria che ogni individuo mette in atto perché le forme più gravi sono dovute a una tumultuosa risposta immunitaria che l’organismo dà per cercare di eliminare il virus e ciò mi ricorda le epatiti fulminanti da HBV. La durata dell’esposizione è legata alla possibilità di contagio mentre penso che un ruolo importante nella risposta immunitaria sia correlato alla carica virale.

Si sa per quale motivo alcune persone non anziane e senza patologie pregresse sviluppano forme gravissime? Incidono fumo, smog, predisposizione genetica, oppure non abbiamo ancora risposte?

Non ci sono risposte sicure, il fumo può incidere sul fatto che i polmoni possono presentare una forma cronica legata al fumo stesso e quindi essere più esposti al rischio di complicanze dovute all’infezione del virus. La predisposizione genetica potrebbe avere la sua importanza. Faccio l’esempio della lebbra: che abbia la forma di lebbra lepromatosa o lebbra tubercoloide è dovuto a come il nostro sistema immunitario riconosce il bacillo.

La maggior parte delle vittime è “over 70”: accade perché, in assenza di farmaci specifici, molto dipende come diceva anche lei dalla capacità di reazione dell’organismo e, con l’età, questa “forza” è inevitabilmente più scarsa?

Gli anziani sono sicuramente più vulnerabili dal punto di vista immunitario; basti pensare che le sottopopolazioni linfocitarie (responsabili della risposta immunitaria, ndr) di un settantenne sono sovrapponibili al quelle di un paziente con infezione da Hiv.

Si parla di antivirali, di farmaci contro l’artrite e altro ancora: sono davvero utili?

Quello che ancora manca, in termini semplici, è un farmaco che “annienti” il virus prima che causi le gravi complicanze polmonari?

La grande sfida del momento è proprio sulla terapia, al momento non vi sono ancora farmaci specifici. Moltissimi sono i farmaci che vengono utilizzati ,da quelli antivirali contro l’influenza, agli antivirali inibitori della proteasi per HIV, farmaci utilizzati per l’Ebola con lo scopo di bloccare il virus , mentre farmaci contro l’artrite reumatoide hanno lo scopo fondamentale di bloccare la tumultuosa risposta immunitaria dell’organismo, ma purtroppo al momento non vi sono ancora risultati eclatanti. Alcuni laboratori hanno evidenziato i meccanismi di replicazione intimi del Covid-19 ciò è sicuramente un’ottima premessa per lo sviluppo di farmaci specifici.

La svolta si avrà solo con il vaccino?

Ci sono stime sui tempi per realizzarlo?

Sì, la vera svolta ci sarà con il vaccino. Diversi studi sono appena iniziati ma sicuramente i tempi non saranno brevi. Stime ottimistiche ma penso poco attendibili, prevedono un vaccino entro fine anno.

In quali casi è davvero utile fare il tampone?

Facciamo chiarezza, c’è molta confusione sul tema.

Al momento attuale il tampone è il “gold-standard” diagnostico. Fare il tampone in maniera corretta permette di fare diagnosi. I tamponi effettuati non sono pochi ma sicuramente sono meno di quelli necessari. Il tasso di letalità alto in buona parte è attribuibile al fatto che nella maggior parte dei casi i tamponi sono fatti a persone con chiari sintomi. E questo fondamentalmente spiega anche perché i dati a nostra disposizione devono essere considerati parzialmente veri. I tamponi fatti a tappeto permetterebbero di avere una fotografia istantanea e reale di questo momento, avremmo il numero dei contagiati vicino alla realtà. C’è anche il fatto che chi oggi è negativo al tampone potrebbe diventare positivo dopo 48/72 ore. Quindi la vera misura preventiva ancora una volta rimane al momento il distanziamento sociale, chi presenta sintomatologia come febbre e tosse deve auto isolarsi e intraprendere il percorso diagnostico. Infine, il tampone potrebbe anche essere negativo ma la clinica e l’esame radiologico confermare l’infezione, e in tal caso è utile ripetere il tampone. Da un punto di vista epidemiologico sarebbe opportuno eseguire il tampone a tutti i soggetti che sono stati a contatto con un paziente sintomatico e positivo al tampone, purtroppo però la situazione dei tamponi è a macchia di leopardo.

I test sierologici :quale utilità potranno avere? E a chi verranno fatti?

Saranno utilissimi per cercare di capire quanti sono veramente stati a contatto con il virus ed avere un’idea della diffusione della pandemia; penso che in Lombardia le persone che risulteranno positive a tale test saranno almeno 9-10 volte quelle che hanno avuto il tampone positivo. Un problema che è legato ai test sierologici è capire quanto dureranno gli anticorpi nel tempo.

Quanti pazienti avete in cura al Sant’Anna?

Si registra in questi giorni una diminuzione dei nuovi casi?

Al Sant’Anna ci sono in cura circa 300 pazienti in questi giorni; con la massima cautela posso dire che stiamo verificando una riduzione della pressione dei nuovi casi e riusciamo a soddisfare la richiesta quotidiana dal Pronto soccorso.

Quale messaggio vuole dare ai cittadini comaschi? Quali sono gli errori da non fare in questa fase?

Il messaggio è semplice e drammatico nello stesso tempo: restare in casa, rispettare l’isolamento sociale, portare la mascherina sempre, uscire a fare la spesa solo una volta alla settimana, lavarsi le mani bene e più volte al giorno. n 
Michele Sada

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