Spazzacorrotti, ricorso comasco accolto
«La retroattività è incostituzionale»

La Corte Costituzionale accoglie le perplessità sollevate da un magistrato di Como - Lo scorso anno scarcerò l’avvocato Pascali, in cella per peculato in seguito al decreto Salvini

Il giudice comasco che, lo scorso anno, scarcerò dopo appena un giorno di cella l’avvocato Alberto Pascali - fresco di una condanna a quattro anni per peculato - fece bene. Perché la norma, appena entrata in vigore con la legge “spazzacorrotti” voluta dall’allora ministro Salvini, che cancellava ogni possibile misura alternativa al carcere anche per chi aveva commesso reati prima della legge stessa, era incostituzionale.

È stata sollecitata dal giudice delle udienze preliminari Maria Luisa Lo Gatto la pronuncia della Corte Costituzionale che, ieri, ha dichiarato illegittima l’applicazione retroattiva della “spazzacorrotti”.

Spieghiamo. Nel gennaio di un anno fa entrò in vigore il decreto che, oltre a inasprire alcune condanne, introduceva l’impossibilità di ottenere pene alternative al carcere per gli imputati ritenuti colpevoli in via definitiva di certi reati tra i quali il peculato, ovvero il reato contestato all’avvocato comasco Pascali. Il professionista di Como - si ricorderà - fu condannato in qualità di tutore legale di un giardiniere di Fino Mornasco invalido al 100% dal dicembre del 2002, folgorato da una scarica elettrica mentre lavorava alla potatura di alcune piante in un giardino di Fino, perché si era appropriato del denaro del suo “tutelato”. Poche settimane prima che la Cassazione sancisse la definitività della condanna, il governo approvò la “spazzacorrotti” che prevedeva il carcere obbligatorio non solo per tutti i condannati da quel momento in poi, ma anche per coloro che erano stati giudicati per reati commessi in precedenza alla norma.

Il giudice comasco accolse il ricorso degli avvocati di Pascali e concesse immediatamente al legale condannato di tornare in libertà. E sottolineò nel suo provvedimento come si dovesse applicare il principio che tutela il cittadino sulla possibilità di subire conseguenze «in virtù di leggi entrate in vigore successivamente alla commissione del reato». Un principio, peraltro, contenuto nella stessa Costituzione.

La motivazione addotta dal giudice comasco è stata sposata, ieri, dalla Corte Costituzionale. La Consulta - che ha ricevuto gli atti dalla Cassazione, che sul caso Pascali sollevò questioni di legittimità costituzionale - ha sottolineato come «l’applicazione retroattiva di una disciplina che comporta una radicale trasformazione della natura della pena e della sua incidenza sulla libertà personale, rispetto a quella prevista al momento del reato, è incompatibile con il principio di legalità delle pene» contenuto «nell’articolo 25 della Costituzione».

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