Aiutarono l’evaso a fuggire nei boschi: citata in giudizio la coppia che ha collaborato con Riella

Dosso del Liro La Procura accusa i due di aver permesso all’evaso di sottrarsi alle ricerche. Dopo essere scappato dal cimitero, andò a suonare a casa loro. Processo fissato tra un anno

A processo con l’ipotesi di reato di favoreggiamento personale per aver aiutato Massimo Riella a scappare. La procura di Como, con un atto a firma del pm Alessandra Bellù, ha emesso il decreto di citazione diretta a giudizio per un uomo e una donna di Dosso del Liro accusati di aver aiutato l’evaso più famoso dell’anno a «sottrarsi alle ricerche degli agenti e degli ufficiali della polizia penitenziaria e dei carabinieri della Compagnia di Menaggio ospitandolo presso la propria abitazione».

Nei guai sono così finiti Alessandro Ieri (50 anni) e Romina Pisolo (44 anni) che saranno rappresentati dall’avvocato Arnaldo Giudici che ha presentato una memoria in loro difesa. L’udienza è stata fissata tra più di un anno, per il mese di novembre del 2023.

La vicenda

Torniamo però allo scorso sabato 12 marzo. Alla mattina, mentre faceva visita alla tomba della madre morta e sepolta nel cimitero di Brenzio, sopra Gravedona, Massimo Riella - che aveva ottenuto il permesso apposito per andare al camposanto - colpì gli agenti della polizia penitenziaria e fuggì sui monti. Da quel giorno le forze di polizia gli diedero la caccia. Poche ore dopo, alle 14.30, in una casa di Dosso del Liro, in linea d’aria a poche centinaia di metri dal punto della fuga, suonò il campanello dell’abitazione dell’uomo e della donna ora finiti a processo. Secondo la difesa, i due aprirono senza nemmeno chiedere al citofono chi fosse, in quanto attendevano una amica della figlia. Sull’uscio si presentò invece Massimo Riella, che chiese di poter entrare a prendere un caffè pare dicendo in modo palese «sun scapà».

La telefonata mancata

Riella chiese anche – sempre secondo la tesi della procura di Como – di poter fare una telefonata alla compagna utilizzando il telefono del cinquantenne. Chiamata che tuttavia non si concretizzò in quanto il cellulare della fidanzata era staccato o comunque non raggiungibile. Riella uscì allora sul balcone, fumò una sigaretta, poi prese una banana - «senza nemmeno chiederlo», precisa la difesa – per poi scappare nel nulla.

Secondo il legale che assiste i due imputati rimase in quella abitazione per poco tempo, prima ancora che si diffondesse la voce della sua evasione. Quindi, l’uomo e la donna non sarebbero accusabili di favoreggiamento personale. Secondo la procura di Como invece il quadro è diverso, sia perché Riella avrebbe detto loro di essere scappato appena entrato in casa, sia perché verosimilmente ben sapevano i due che l’amico era da tempo detenuto nel carcere del Bassone, anche perché solo poco prima aveva messo in scena una clamorosa protesta sul tetto del penitenziario le cui immagini erano finite sui giornali e in televisione.

Insomma, per il pubblico ministero non ci sono dubbi in merito al fatto che la coppia possa aver aiutato Massimo Riella in quei momenti decisivi immediatamente successivi all’evasione avvenuta poco distante dalla casa di Dosso del Liro. Non sarebbero gli unici, tra l’altro, visto che nei giorni successivi altri fascicoli – identici – si unirono a questo sempre per le ipotesi di reato di favoreggiamento personale.

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