«Il mosaico romano? Non si poteva spostare l’avremmo rovinato»

Ex Cressoni Sulla polemica sollevata da 4 senatori la risposta dell’esperta della Soprintendenza di Milano

Archeologia, Como risponde a Roma. Il 27 aprile quattro senatori ( Margherita Corrado , Luisa Angrisani , Bianca Laura Granato ed Elio Lannutti ) hanno chiesto al ministro della cultura Dario Franceschini di fare luce sul destino del raffinatissimo mosaico a più colori di 24 metri quadri di epoca romana rinvenuto durante un cantiere in via Diaz, presso l’ex monastero di San Colombano a pochi metri dall’ex teatro Cressoni dove nel 2018 furono scoperte le monete romane del “tesoro di Como”.

In particolare i parlamentari chiedono perché non sia stato strappato e delocalizzato, magari al Museo Giovio (che però è da tempo chiuso). A stretto giro di web, la Società Archeologica Comense ha risposto rendendo disponibile il saggio a più mani a cura di Barbara Grassi (della Soprintendenza Archeologica della Lombardia) edito sull’ultimo numero della “Rac”, la rivista del sodalizio, che ha documentato le indagini sul mosaico avvenute peraltro in piena pandemia (2020).

La scelta

Vi si spiega perché optare per il mantenimento in situ e in sicurezza fosse l’unica via, dopo gli opportuni studi. «È stata valutata la possibilità di rimuovere il mosaico e la pavimentazione sottostante per procedere al restauro e all’esposizione – scrive Grassi con lo studioso Emiliano Garatti - ma l’operazione è stata giudicata non accettabile per i rischi conservativi cui sarebbero stati sottoposti i pavimenti e le strutture murarie ancora conservate. Il suo stato di conservazione non permette l’intervento invasivo del distacco e del trasporto in sicurezza. Enormi sarebbero le difficoltà tecniche per asciugarlo» si legge ancora sulla “Rivista Archeologica Comense”. Sarebbe forse bastato, quindi, ai senatori dare un’occhiata alla rivista prima di sollevare dubbi. Il problema, rimarca il presidente dell’Archeologica Comense Giancarlo Frigerio , «è l’acqua di falda, che complica dannatamente questi scavi e questi studi come si è visto anche sul cantiere dell’ex Cressoni, già a 2 metri di profondità, e gli interventi troppo invasivi possono compromettere la stabilità degli edifici abitati circostanti. Il lago è un fiore all’occhiello ma per gli archeologi è un dramma. Si è preferito conservare perfettamente in situ il mosaico, con una copertura reversibile anche fra mille anni».

La mostra

Se Roma protesta Como non dorme: l’Archeologica e la Soprintendenza, infatti, lavorano per ottobre in San Pietro in Atrio in via Odescalchi a una grande mostra su 7 millenni di scavi sul Lario: “Ri-trovamenti. Settemila anni di Storia comense” documenterà gli ultimi dieci anni di scavi a Como, in Brianza e sul lago dal Neolitico al Medioevo, con reperti e materiale didattico. Il tutto nel 120° della stessa Archeologica e nel 150° della Rivista Archeologica Comense regolarmente edita fin dal 1872, inizialmente diretta da Vincenzo Barelli , pioniere dell’archeologia comasca. Sarà corsa contro il tempo per far coincidere questa mostra con l’attesa esposizione di parte del tesoro aureo di via Diaz alle Orfanelle. Intanto l’Archeologica guarda al futuro, il 28 maggio in Cosma e Damiano si terrà l’assemblea dei soci. Frigerio, presidente da un ventennio, si ricandida: «Ma coltiviamo molti giovani.

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