Il racconto: «Io, 24 ore al Sant’Anna
tra gli infetti. Poi l’esito del tampone»

Il racconto: «In attesa insieme a me tanti pazienti sotto i 50 anni e una bimba. Un uomo intubato accanto a me. Medici e infermieri sono stati eccezionali»

Ventiquattr’ore nel Pronto soccorso coronavirus del Sant’Anna, in attesa del responso del tampone, fra malati che improvvisamente si aggravano e personale al limite della resistenza ma capace di un’assistenza «eccezionale».

E quando arriva il responso negativo e si può tornare a casa, la raccomandazione: «Ora resti 14 giorni in isolamento completo, anche dai familiari, perché, nonostante tutte le precauzioni, è stato esposto al contagio».

Tutto era cominciato una settimana prima, con tosse e febbriciattola. Francesco - nome di fantasia - 53 anni, artigiano della cintura urbana, si sottopone a una lastra che evidenzia due focolai di polmonite. La terapia che gli prescrive il medico di base non risolve la situazione, ed è lo stesso medico a quel punto a dirgli di chiamare il 112.

«Hanno risposto immediatamente - racconta l’uomo - e mi hanno detto di aspettare a casa. Dopo circa mezz’ora è arrivata un’ambulanza in codice rosso, con l’equipaggio protetto dalle tute. Uno di loro è entrato in casa e mi ha fatto delle domande sui sintomi e sulle cure a cui mi ero sottoposto, ha voluto le lastre. Poi mi hanno caricato in ambulanza e mi hanno portato al Sant’Anna, al Pronto soccorso coronavirus. Mi hanno messo con un’altra persona in una stanza “blindata” e mi hanno visitato, mi hanno prelevato il sangue e sottoposto al tampone. Dopo circa mezz’ora ci hanno trasferito in un enorme locale adibito ad astanteria, credo fosse in precedenza l’ingresso delle ambulanze del pronto soccorso. Ci sono una quindicina di barelle, a cinque metri di distanza l’una dall’altra, e lì si resta, tutti bardati con tuta, guanti e mascherina, in attesa dell’esito del tampone. Quando sono arrivato eravamo solo in due, poi è stato tutto un via vai di persone, dimesse o trasferite in altri reparti a seconda dell’esito. Più della metà fra i 40 e i 50 anni, c’era anche una bambina di circa 10 anni. Il momento più drammatico è stato nella notte, un uomo di meno di 50 anni è stato male davanti a me, tremava e non respirava, l’hanno intubato e trasferito in un altro reparto».

Circa ogni ora, continua Francesco, vengono misurate la temperatura e la pressione. Purtroppo i disagi non mancano: «Non c’è una vera toilette, naturalmente, perché sarebbe fonte di contagio. In caso di necessità si viene muniti di contenitori e si utilizza un locale isolato. Il cibo viene servito in vaschette sigillate, ci si arrangia un po’ spostando la mascherina fra un boccone e l’altro. E non si può essere assistiti da nessun familiare».

«Il personale - rimarca Francesco - è stato eccezionale: ma si capisce che sono molto stressati e devono arrangiarsi come possono in questa situazione un po’ accampata».

Dopo ventiquattr’ore, per fortuna, l’esito negativo del tampone: «Mi hanno detto che potevo andare a casa, ma che avrei dovuto osservare la quarantena. E prima di dimettermi hanno sterilizzato il mio cellulare».

«È stata un’esperienza dura, inimmaginabile fino a pochi giorni fa. E continuano a tornarmi in mente le parole del medico: questa non è un’influenza che può avere complicazioni solo per gli anziani o i malati, è una forma molto più grave e siamo tutti a rischio. Dite alla gente di restare a casa e di mettere in atto tutte le precauzioni, compresi i guanti quando si va a fare la spesa. Basta usare un carrello toccato da un malato per infettarsi».

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