Il ritorno sui banchi dopo la pandemia: uno sguardo d’insieme su cosa ci aspetta

Intervista Marco Bussetti, dirigente dell’Ufficio scolastico di Como: «La Dad è servita, ma gli elementi educativi dei ragazzi sono nella socialità»

«La scuola si è già sacrificata molto in questi anni di pandemia, se ci fosse bisogno in futuro di nuovi sacrifici, credo che sia giusto tocchi ad altri».

Marco Bussetti è il dirigente dell’Ufficio Scolastico Regionale della Lombardia, responsabile degli Ordinamenti e delle politiche per gli studenti, e dell’Ufficio Territoriale di Como. Nel Governo Conte, dal primo giugno 2018, ha ricoperto il ruolo di ministro dell’istruzione, dell’Università e della Ricerca.

Tagliato il nastro di partenza dell’apertura delle scuole il suo è uno sguardo d’insieme su quanto si è lavorato per essere pronti e su quanto ancora c’è da fare, tenendo conto della diversità delle esigenze scolastiche che il Comasco racchiude e delle sfide che sono da cogliere.

Dopo il Covid è questa la “scuola della ripartenza”

La scuola non si è mai fermata, quindi non parlerei di ripartenza, piuttosto di ritorno alla normalità. Ha sempre cercato, anche in un momento di emergenza sanitaria nazionale, di garantire il massimo del servizio possibile, sia nei confronti degli studenti che dei docenti. La novità di quest’anno è che si vive tutti in classe senza distanziamento, senza personale aggiuntivo Covid, senza mascherine, senza Dad. Sono cadute tutte quelle misure che erano necessarie al contenimento del contagio, messe in atto con un occhio particolare ai più fragili. Rimane il grande insegnamento che il Covid ci ha lasciato: essere sempre preparati al rispetto di chi ci sta accanto nel tutelare noi stessi e gli altri.

Tanti studenti però si sono persi per strada. Nel Comasco qual è il tasso di dispersione scolastica post – Covid?

A livello nazionale si parla di numeri significativi. Nel nostro territorio non abbiamo avuto segnalazioni particolari in merito a questo fenomeno. Tutte le scuole di ogni ordine e grado hanno adottato sistemi e modalità per evitare l’insorgere di casi di abbandono. Si è cercato di mantenere la relazione, coinvolgendo bambini e ragazzi, dando attenzione al singolo, per nutrire un rapporto seppur sfilacciato dalla distanza.

La Dad quindi ha tenuto?

La didattica a distanza è nata da un’esigenza specifica e in un periodo fortemente emergenziale. È stato uno strumento utile nel contesto molto particolare della pandemia. Ma il rapporto umano, la relazione, la vita di comunità sono degli elementi educativi e formativi fondanti e irrinunciabili per la crescita dei nostri ragazzi e devono essere mantenuti. La Dad ha portato anche dei benefici, ci ha insegnato a fare uso delle nuove tecnologie, ma la didattica in presenza è quella con cui la scuola deve esprimersi.

Oggi il timore è che la Dad possa tornare come misura contro il caro-energia.

Nel momento in cui si dovesse ricorrere alla razionalizzazione delle risorse energetiche, per la minore disponibilità di gas e l’aumento dei costi, credo che scuola e ospedali vadano lasciati fuori da queste misure di contenimento e risparmio. La scuola si è già sacrificata molto, se ce ne fosse bisogno, credo giusto tocchi ad altri. Ha già dato e ha dato molto.

Sul nostro territorio com’è andato il ritorno tra i banchi?

Il nostro ufficio ha lavorato tutta estate, senza sosta, perché tutto andasse nel migliore dei modi. Ci siamo trovati a gestire una popolazione scolastica di 63.353 studenti (5.541 alla scuola dell’infanzia, 23.447 alla primaria, 15.231 alla secondaria di primo grado e 19.134 alla secondaria di secondo grado). Como, lo dico schiettamente, può posizionarsi sul podio tra le province italiane per quanto riguarda la copertura delle cattedre. Non abbiamo ancora i numeri precisi, perché in questo momento stanno arrivando le rinunce, ma la situazione è ottimale.

Anche per quanto riguarda gli insegnanti di sostegno?

Nel Comasco gli studenti con disabilità sono circa 3000. L’attenzione per chi convive con una disabilità è sempre alta proprio per garantire a questi ragazzi una percorso formativo a misura delle loro capacità.

Intanto gli stessi studenti contestano, manifestando, che in questa campagna elettorale poco si parli di scuola. Cosa ne pensa?

Stanno facendo sentire la loro voce soprattutto riguardo agli investimenti economici sulle strutture scolastiche e sull’offerta formativa, ma anche sul bisogno degli sportelli di assistenza psicologica. Credo che sia doveroso tenere il focus su questi temi e fare le proprie critiche, ma allo stesso tempo non bisogna mai smettere di essere propositivi. La grande sfida è far confluire questo movimento di idee in una proposta istituzionale.

In che modo?

Ogni territorio ha le sue esigenze. Faccio l’esempio del Comasco, ci sono a livello scolastico differenze importanti tra le realtà dell’alto lago, dove registriamo una tendenza al calo di iscrizioni, e quelle di Comuni più grandi, dove all’interno di alcuni istituti ci sono anche classi numerose. La politica nazionale per capire il mondo scuola dovrebbe a mio parere restringere lo sguardo al locale e non perdersi tutte queste importanti caratterizzazioni. Di cose da fare ce ne sono tante, in primis ampliare la nostra possibilità giuridica di lavorare in autonomia per rispondere da vicino ai bisogni territoriali.

In definitiva che anno scolastico dobbiamo aspettarci?

È presto per dirlo, vanno superati indenni l’autunno e l’inverno. Rimangono ancora tante incognite, è necessario tenere alta l’attenzione sull’andamento del Covid. L’importante è non smettere mai di lavorare come una comunità, tra la scuola e gli altri attori del territorio come le Ats e le Asst, continuare a fare sistema nel fronteggiare qualsiasi prova futura, che è poi la più grande eredità che ci ha consegnato questa pandemia.

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